A submarine rescue

—Ragazzi! avete letto l’ultima notizia?— esclamò un gatto tigrato color castagna, che si stava letteralmente scapicollando lungo il corridoio che portava nella sala di ritrovo principale dell’antica e rispettabile Royal Crowder Society.

Agitava nella zampa sinistra un giornale; la foga lo aveva indotto a farlo con così tanta veemenza che, se convertita in energia, la massa d’aria spostata avrebbe potuto illuminare tutte la stanza per il resto della giornata.

Era domenica mattina e alla Royal Crowder Society i mici si stavano concedendo un po’ di relax nella sala grande davanti al camino, chi a schiacciare un pisolino, chi a leggere un buon libro, altri ancora a chiacchierare di argomenti più o meno impegnati.

Ma Chest, diminutivo di Chestnut, aveva scompigliato quel perfetto equilibrio.

—Chest, calmati!— si sentì dal fondo della stanza —Che sarà mai accaduto?—

—Guardate qua!— preciso Chest, sbattendo il giornale piegato a metà, ma con il titolo di prima pagina ben visibile, con una sonora zampata sul tavolo rotondo di quercia al centro della stanza, senza curarsi della partita a scacchi che era in corso tra monsieur Sable du Poisson e Sir Whitehorse.

—Bene Chest, che eleganza!— lo redarguì sarcasticamente Monsieur du Poisson —Stavo anche vincendo…—

Chest non lo stava nemmeno ascoltando: —Un’altro caso impossibile risolto! E questa volta è stata sconfitta niente poco di meno che l’Aia Oscura!—

—Fa vedere!— un micio calicò gli strappò il giornale della zampa, mentre altri membri della società si erano già accalcati intorno per la curiosità. I più diffidenti restavano al loro posto e da uno di essi si levò un commento: —Sì, come no… anche se fosse l’Aia Oscura non può essere sconfitta del tutto. È  un’organizzazione troppo subdola e chissà quanto estesa. Magari starà fuori dai giochi per un po’… e poi ritornerà—

—Il solito scettico! C’è scritto a caratteri cubitali sul Crowder Chronicles: Svelato il mistero della pietra del puffin: sventato il diabolico piano dell’Aia Oscura, vittoria schiacciante dei due super detectives Hans ed Hank!

—Ancora qui due?— borbottò Whitehorse dubbioso —Ormai sono dappertutto!—

—Sono dei veri geni! lo redarguì Chest —L’Aia Oscura: vi rendete minimamente conto?!? Nessuno aveva più avuto il coraggio di entrare in una loro questione da decenni!—

—Il Chronicles è sempre così sensazionalista!— sbuffò un gatto grigio cenere —Per favore, Paul, passami il The Cat Post—

Avrebbe voluto leggere qualcosa di differente, perché l’espressione che assunse il suo muso non appena scorse prime righe del Post era inequivocabilmente sconvolta. Lo gettò su una poltrona, spiegazzato.

—Quindi John… ?—

—Niente, quindi niente! Ormai la stampa è rincitrullita!—

—Ma è innegabile: Hans ed Hank sono i migliori detectives che Scotland Yard abbia mai visto da almeno cinquant’anni!—

—Anche un secolo!— sì infervoro Andy, il gatto calicò, aprendo gli occhi al massimo come a sottolineare maggiormente la sua meraviglia.

—Ma dai…!— disse Whitehorse lasciando la partita, anche perché i pezzi erano stati brutalmente sfrattati dalla scacchiera dall’esuberanza di Chest.

—Se così non fosse, ci avrebbero anche scritto un libro?—

—Pure?!?— si stupì Whitehorse.

—Non fare finta di non sapere che il loro primo caso è diventato un best seller nel mondo felino e canino. Si vocifera che stia arrivando anche agli umani…—

—Baggianate! Per me sono solo due che hanno avuto un colpo di fortuna—

—E tu tutta invidia, eh bello mio?— lo canzonò Rocky, arrivandogli da dietro e dandogli una pacca sulla spalla, che lo fece avanzare di qualche passo. Whitehorse si voltò, rivolgendo al micione rosso un sorrisetto sforzato e si allontanò bofonchiando.

—Rocky,  non sarai anche tu dello stesso parere di quel noioso di Whitehorse, vero?—

—Macché! Il professor Arthur Van ed io sappiamo riconoscere il talento, quando lo vediamo— spiegò Rocky, richiamando l’attenzione dell’amico Artù ed invitandolo a prendere parte alla discussione.

Artù prese il posto lasciato libero da Sir Geordie Whitehorse: —Vero  Rocky! Hanno intuito, quei due setter! Hans ed Hank: due nomi che resteranno nella storia di Scotland Yard, ve lo assicuro! Profondo intuito, lealtà e beh, anche una gran attitudine a finire nei guai… faranno strada, è garantito!—

—Un po’ come due, eh amico?—. 

—Sì, puoi ben dirlo, Rocky…—

Nel frattempo, Andy aveva ripreso il giornale tra le zampe e stava leggendo con trasporto: 

—È chiaro che senza il loro intervento l’Aia oscura avrebbe accresciuto in maniera indescrivibile il suo potere, appropriandosi di un manufatto tanto unico, quanto devastante. Tuttavia, ognuno di  noi non dovrebbe dimenticare quella che è forse la lezione più importante che si può trarre da questo caso: Tutti possiamo perderci, ma chi ci vuole bene sarà sempre pronto a lasciare un lumicino acceso per ricordarci la via giusta e non esiterà mai a tenderci la mano per riaccompagnarci a casa—.

Andy non terminò di leggere che Artù balzò sulla poltrona, appoggiando di scatto le zampe anteriori ai braccioli, sgranando gli occhi.

—Non può essere!— gridò angosciato.

—È proprio così, invece. Hanno dovuto fare i conti con un tradimento interno, per così dire…— spiegò Andy, che aveva capito Arthur Van stesse trasalendo per le parole del Crowder Chronicles.

Intanto, Artù che non lo stava ascoltando, gli strappò letteralmente il giornale delle zampe e lo girò, rivelando il trafiletto dell’ultima pagina su cui gli era caduto lo sguardo poco prima, mentre sedeva sulla poltrona.

—Sentite qua! Scomparso il professor Aerik della Royal Crowder Society, in data 7 maggio, con il suo sottomarino al largo di Tortuga. Il misterioso professore, molto schivo anche con i colleghi della rinomatissima società di studi felini, sembra fosse alla ricerca del tesoro del famigerato William Whiskers, a cui ha consacrato tutta la sua vita —.

—Aerrik?!?— strillo Rocky, totalmente incredulo —Possibile che scompare un membro della nostra società, oserei dire quasi famiglia, e noi non lo sappiamo? Ce ne stiamo qui seduti a giocare a scacchi e a bere tè, crogiolandoci vicino al caminetto…? e tutto quello che ci azzardiamo a fare è un articoletto di cinque righe al fondo di un giornale?—.

—Beh Rocky… Ammetti che Aerik è un po’ suonato… — intervenne un micio rosso e bianco —Solo perché conduce una vita appartata? Vi siete mai sprecati a rivolgergli la parola per più di 5 minuti?— incalzò Artù.

—Ragazzi, andiamo: è alla ricerca di una leggenda, una favoletta per micetti… Sappiamo tutti che quella del Capitano William Whiskers è una bella storiella, nient’altro. Non ci sono prove, mai un singolo ritrovamento… —

—Ma ci sono documenti e per Aerick dovevano esserci prove più che fondate, per andare fin laggiù —

—Non ci ha mai detto nulla—

— Beh, direi che ha fatto più che bene: gli avreste di sicuro risposto con qualche battutaccia e non gli avreste creduto…— li rimproverò —e lo avreste deriso—

Tutti i mici che riempivano la sala grande abbassano lo sguardo, pentiti del loro comportamento.

—Comunque, non l’abbiamo lasciato solo.— intervenne un micio dal pelo grigio compatto e uniforme —Abbiamo preso contatti con l’associazione di studio archeologici di Tortuga, che è dotata di sottomarini, perché fosse seguito. In fondo, supportiamo tutte le ricerche, così come insegnatoci dal nostro fondatore Alisander. Di sicuro loro lo staranno cercando… —

—Qui, però, dice chiaramente che si è perso con il suo sottomarino. Qualcosa evidentemente non è andato proprio come previsto… —.

—Rocky, so che Aerik è molto competente e stava lavorando ad un sottomarino per elevate profondità, altro non so dirti, purtroppo—

Rocky ed Artù non ebbero nessun dubbio: occorreva organizzare una spedizione per ritrovarlo.

—Chiediamo il permesso per predisporre una squadra di ricerca. Prendiamo il The Cat Path—

—Accordato— rispose il gatto grigio —Tornate interi e con Aerik —

—Puoi scommetterci, come sempre!—  rispose sorridendo il professor Arthur Van.

E Rocky, insieme ad Artù, si avviò veloce a preparare la nuova missione. Questa volta era più che una semplice esplorazione: dovevano salvare un amico, non potevano fallire.

—Il mio giornale!— cercò invano di richiamare la loro attenzione Andy, ma i due erano già lontani e quasi non si scorgevano più nel lungo corridoio in penombra.

—Lascia… ormai sono già con la mente a Tortuga… — lo calmò Rhett, il gatto grigio.

—Speriamo lo ritrovino— sospirò Andy.

—Lo speriamo tutti… — si unì un micio che stava distrattamente guardando fuori dalla finestra.

—Sai che quei due, in qualche modo, riescono sempre a spuntarla… mi preoccupo di più che non combino troppi guai e che non distruggano il The Cat Path. L’ultima volta ci è costato una fortuna… !— mormorò Rhett,  il capo della gestione delle operazioni sul campo della Royal Crowder Society, mentre si avvicinava all’ampio finestrone antico e scorgeva la sagoma di un gatto rosso e di uno bianco con coda color antracite che si dirigevano verso l’hangar.

Rocky ed Artù esaminarono velocemente il The Cat Path, concordando che fosse tutto in regola.

—Hanno fatto proprio un bel lavoro, eh? Se avessi saputo che lo avrebbero tirato così a lucido, avrei effettuato qualche atterraggio di emergenza in più! —scherzo Artù.

—Già, concordo!— stette al gioco Rocky.

Ovviamente nessuno dei due ci teneva davvero a ripetere l’ultima esperienza, che aveva portato il The Cat Path a schiantarsi letteralmente al suolo, durante l’atterraggio di emergenza nella tempesta in Messico. Tuttavia, alleggerire la tensione con qualche risata rientrava nel loro stile. 

La nuova missione non aveva niente a che fare col modo scientifico, almeno per loro, volevano solo salvare il loro amico. A quel punto, non sapevano nulla: dove fosse, cosa volesse realmente cercare, in che condizioni era scomparso. Solo che dovevano, e desideravano più di ogni altra cosa, recuperarlo.

Pertanto, il piano era semplicemente quello di mettere insieme un gran numero di provviste e materiali necessari per un salvataggio, marino o terrestre che fosse, riunire la vecchia squadra e partire alla volta di Tortuga.

Raggiunta la loro meta, avrebbero raccolto informazioni all’istituto scientifico locale, la Sociedad de Estudios Arqueológicos y Científicos Felinos de la Tortuga.

Si trattava solo di riunire la squadra.

—Quindi…— propose Artù —dobbiamo solo ritrovare Aiden e chiedergli che programmi ha per il fine settimana …—

—Già sarà così contento di far saltare tutto per intraprendere un altro emozionante viaggio!— rispose Rocky, ridendo.

Trovarono Aiden che stava aiutando alcuni membri della società a costruire un modellino per un nuovo kelpie meccanico.

—Ecco!— disse stringendo l’ultimo bullone e riemergendo da sotto una strana impalcatura di ferro, che solo vagamente avrebbe potuto ricordare un minaccioso cavallo mitologico, grazie ad un pratico carrellino con ruote.

—Con questa modifica, il suono dovrebbe prodursi in automatico, grazie al movimento dell’acqua, ad ogni risalita della testa del cavallo dal fossato— spiegò e gettò la chiave inglese nella cassetta degli attrezzi lì vicino.

—Non ci resta che testarlo sul campo, dunque!— disse uno di loro.

—Grazie Aiden, sei un ingegnere molto valido!—

Aiden si compiacque di quel complimento, ma non lo diede troppo a vedere: —Non dimenticatevi della copertura, altrimenti sembrerà solo un ammasso di ferraglia arrugginita!— consigliò e, mentre stava uscendo pulendosi le zampe su uno straccio, vide avvicinarsi i due studiosi: questo lo mise subito sull’attenti.

—Questo non promette bene… —

—Ciao Aiden! Anche noi siamo felici di vederti! Oggi è proprio una bella giornata, e sì, grazie per averlo chiesto, stiamo benone!— lo stuzzicò Rocky.

—Oh Rocky, certo che penso tutte queste cose, ma è che… insomma… vedervi tutti e due insieme, che mi state cercando… mi sono immaginato che non fosse nulla di tranquillo, ecco tutto… —

—Ed è proprio per la tua spiccata capacità di analisi che ti abbiamo voluto in squadra e che non ti lasceremmo per niente al mondo!— confermò il professor Arthur Van.

—No, no, no, ragazzi! Questa volta no! Devo ancora riprendermi dall’ultimo viaggio e ho delle cose da fare qui al castello… scegliete un altro… —

Artù si avvicinò a lui: —Un altro non sarebbe mai te e noi abbiamo bisogno dell’unico e solo Aiden… —

Aiden sospirò rumorosamente, sconsolato: —Si può almeno sapere di cosa si tratta prima?—

—No, hai già accettato! Forza andiamo!— accelerò Rocky —Non c’è tempo da perdere—.

—Frena! Io non ho accettato. Ho detto che avrei valutato… —

—Ti piacciono i posti caldi?—

—Uhm, Non proprio… —

Artù fece segno a Rocky di stare in silenzio per qualche minuto, se ne sarebbe occupato lui.

—Aiden, Questa volta non c’entrano motivazioni scientifiche. C’è in gioco la vita di un nostro amico… —

—Chi?— trasalì Aiden.

—Il professor Aerik Tunfisksonn—

—No!— Aiden era incredulo, tant’è che Rocky dovette rammentargli di chiudere la bocca, toccandolo leggermente sotto il mento.

—Come può essere… io… Dite proprio a Aerik il norvegese delle foreste? Quello marrone tigrato, occhi verdi penetranti, pelo lungo e, alto così… — lo descrisse, accompagnandosi anche con un cenno della zampa per indicarne l’altezza, come se fosse ancora lì accanto a lui.

—Esattamente Aiden… un perfetto identikit… tristemente, tienilo a mente, perché ne avremo bisogno più volte di quanto tu non creda— suggerì Artù. 

Aiden persisteva nel suo disorientamento: —Ma se… no non può essere! Quando? —

—È dal sette di questo mese che non si hanno più notizie —

—Io non ci credo…— Aiden si era seduto, con la testa fra le zampe, guardando a terra. Restò così, senza preferire parole, per qualche attimo, poi rivolse lo sguardo di due studiosi: — L’ho anche aiutato a perfezionare il progetto del suo sottomarino sperimentale e abbiamo costruito alcune parti proprio in questa officina!— aggiunse.

— Aiden, non sentirti in colpa: tu non c’entri nulla. Questo studio è la vita di Aerik: se si è preso dei rischi avrà valutato che il gioco valeva la candela. Lo avrebbe fatto comunque, solo con più pericoli, perché non avrebbe avuto il supporto della tua mente brillante, ingegnere!— lo rincuorò Artu.

—Non preoccuparti— Rocky si avvicinò ad Aiden e lo abbracciò teneramente —lo riporteremo a casa —

Aiden si ricompose e balzò in piedi, con le ritrovata energia.

—Bene, contate pure su di me!—

—Ottimo ragazzo !— si congratulò Artù.

Mentre si avviavano verso il The Cat Path, Rocky gli si accostò e gli sussurrò: —Sai, il fatto che tu hai accettato era una pura formalità. Saresti stato incluso comunque!— gli disse, strizzando l’occhio.

—Chissà perché, non mi stupisce!— ridacchiò Aiden.

—Ecco il trabiccolo!— disse Aiden, all’apertura dell’hangar.

—Dai, che in fondo ti piace!— lo redarguì Artù.

—Mi piace, lo ammetto! Però niente incidenti per questo viaggio d’accordo? E non vi inimicate più nessuna popolazione locale! —

Tutti risero di gusto.

Aiden controllò a livello tecnico e confermò che tutto era in ordine. Il resto della giornata fu dedicata al carico dei bagagli personali, delle mappe e dell’ultima parte dell’attrezzatura scientifica. Verso sera, fu sottoposto a revisione anche il piano di volo. Fu Aiden a prendere la parola: —Ragazzi, odio contraddirvi… ma non credo che sia conveniente ripetere il tragitto del precedente viaggio e fermarci solo prima… se usassimo l’imbarcazione ufficiale della Royal Crowder Society potremmo evitare scali… —

—Ma se una volta arrivati là ci servisse volare?—

—Ne dubito, essendo un’isola. Potremmo piuttosto servirci più efficacemente di qualche altro tipo di imbarcazione affittata sul luogo—

Artù e Rocky si guardarono perplessi: il The Cat Path era il loro amico fidato da sempre. Provarono a farlo presente ad Aiden, che li ammutolì: —Quindi, finora devo supporre abbiate aumentato quasi inutilmente le spese della società per il vostro divertimento…?—

—No, è che in aereo si viaggia più comodi… — tentò di giustificarsi Rocky.

—Beh, non oggi. Vi concedo di arrivare sino al porto in aereo, ma solo per trasferire i bagagli. Poi da lì proseguiremo in nave fino a Tortuga. Assicuratevi di avere tutto il carburante necessario… —

Rocky, con tutta quell’acqua ad attraversare, era più che contrariato e non si preoccupava minimamente di nasconderlo.

—Bada bene che, se accadrà qualcosa, non potremo salvarci; io il The Cat Path lo porterei!—

Artù, come sempre, dovette mediare.

—Puoi imbarcarlo. Solo in caso fosse necessario scappare e…—

—E ci fosse il tempo di azionare i motori, aprire il portellone di carico e sperare di avere abbastanza spazio per decollare… — mugugnò Aiden.

Rocky finse di ignorarlo, avevo ottenuto quello che voleva, Il The Cat Path, il resto era solo l’equivalente di un sassolino tra i cuscinetti della zampa: fastidioso, sì, ma sopportabile.

—Sapete che siete impossibili…? — domandò sarcasticamente Artù —Speriamo che il buongiorno non si veda dal mattino, mi spiego? Non vorrei passare tutto il tragitto assistendo ai vostri battibecchi—

Aiden e Rocky si guardarono come voler dire —io non ho fatto niente… — e Artù si girò verso l’uscita.

—Forza, voi: dobbiamo alzarci presto domattina! —

—Non mi aggiornate su niente…—

—Cioè?— chiese il professore Arthur Van, prendendo il cappello e calandoselo sulle orecchie.

—Cioè tutto. Diciamo cosa stava cercando Aerik, per cominciare… —

—Ci sarà tempo mentre navighiamo…— preciso Rocky, spingendolo fuori.

—Ma qualcuno di voi due non dovrà stare al timone?—

—Sei visibilmente preoccupato, rilassati! La RCS Leannah ha un intero equipaggio! Non è un transatlantico, ma nemmeno una barchetta… —

Aiden guardava Rocky con lieve preoccupazione, ma in realtà non stava più nella pelle all’idea di vedere quella nave.

Si salutarono e si diedero appuntamento all’hangar per la mattina successiva.

—Alle 6:00 in punto, è fondamentale!— ribadì Artù.

Tutti annuirono e se ne tornarono nelle proprie stanze.

Il trasferimento con il The Cat Path fino al porto si compì senza intoppi, così come il carico dell’attrezzatura, delle provviste e degli svariati bagagli dal velivolo sulla nave. Quando fu il momento di imbarcare anche il The Cat Path, alcuni marinai storsero un po’ il naso, per il timore che un così grande bagaglio potesse recare danno alla stabilità dell’intera nave,

Tuttavia, dopo le rassicurazioni del capitano Horace Winston, che lo aveva già fatto in svariate occasioni, tutto tornò nella norma.

Alle dodici in punto, la RCS (dove RCS sta per Royal Crowder Society) Leannah salpò. Il viaggio trascorse regolarmente e, come anticipato da Rocky, i tre studiosi ebbero molto tempo per chiacchierare e informare Aiden sugli studi del professor Aerik.

Fu in una sera intera, mentre sedevano tutti e tre sul pontile a gustare un buon tè, che guardando la vastità dell’oceano Rocky si lasciò a sfuggire una frase, piuttosto infelice.

—Speriamo che Aerik non sia sotto queste onde, altrimenti per lui non ci sarebbe scampo, a quest’ora… — era sovrappensiero e non si accorse di averlo detto a voce alta. Non lo credeva veramente, stava semplicemente esternando la sua paura più profonda.

—Tu dici che potrebbe essere… —si spaventò Aiden.

— Non è, purtroppo, una possibilità da escludere.— si intromise Artù —Dobbiamo essere obiettivi e valutare analiticamente ogni ipotesi: solo così potremmo essere più efficaci e rapidi nelle operazioni—

—Posso chiedervi che cosa stava cercando e perché gli sta così a cuore?— si azzardò Aiden.

—Mentirei se ti dicessi che non è una storia lunga… Posso raccontartela, ovvio. Ma devi promettere che servirai queste informazioni nel profondo del tuo cuore e non lascerai intendere a nessuno ciò che apprenderai. Aerik è un tipo molto riservato e questo è direttamente legato alla storia della sua famiglia, lo ha confessato solo a me e ad Artù —

— Wow… — ad Aiden corse un leggero brivido lungo la schiena, che gli fece alzare una sottile striscia di peli.

— Già, wow… Te lo riferiamo perché sappiamo di poterci fidare —aggiunse Artù.

— Certamente nemmeno Aerik capirà che lo so… — promise Aiden.

—Ottimo allora, mettiti comodo —

Artù prese a raccontare che Aerik era ancora un micetto che aveva appena smesso di bere latte, quando suo nonno fu dichiarato disperso in mare. Venne ritrovato, dopo mesi di estenuanti ricerche, proprio da Aerik, stremato su una spiaggia nei pressi di una scogliera.

Era partito per chissà dove e, a quanto pare, il viaggio di ritorno era stato molto difficile. Accanto a lui, rottami della nave, la sua nave, alberi spezzati, tavole, tutto alla rinfusa sulla sabbia, coperto di alghe e brandelli di quelle che un tempo erano vele che si gonfiavano fiere al vento, trascinando materialmente il corpo di quel gatto laddove la mente lo aveva già fatto arrivare. Anche i suoi abiti erano logori, completamente fradici. Aveva perso i sensi, ma non il senno: quello no, Aerik lo sapeva perfettamente. Suo nonno non sperimentò mai, nemmeno da lontano, la follia che da lì a poco gli avrebbero affibbiato per giustificare ciò che non riuscivano, o che non volevano, comprendere. Tra le zampe, che gocciolavano un misto tra acqua salata e sangue per le ferite che si era procurato durante l’ultimo disperato tentativo di virare oltre gli scogli prima del naufragio, stringeva uno scrigno di legno, miracolosamente intatto, eccetto per i segni che le sue unghie avevano lasciato. Piuttosto che rischiare di perderlo, aveva preferito spezzarsi gli artigli conficcandoli nel legno.

—Nonno, nonno ! — lo scosse Aerik.

Non venne risposto. Lo scrollò più animatamente e riuscì a strappargli un respiro, quello di chi sembra tornare a riprendersi l’aria che è di diritto sua. Aerik lo aiutò ad alzarsi e suo nonno si piegò su un lato, tossendo, sputando acqua e sabbia. Quando fece per scostargli le zampe dalla misteriosa scatola, il gatto quasi gli si scagliò contro, soffiando. Poi si riebbe, e riconobbe una certa somiglianza in lui: sentiva che doveva essere della famiglia. Quel povero micione, ormai anziano, era da perdonare: in fondo, aveva visto Aerik una sola volta, alla sua nascita, e da allora era molto cambiato.

—Tu…—

—Sì, io sono Aerik, tuo nipote!

—Mi hai trovato ! —

—Non abbiamo mai smesso di cercarti… io non ho mai smesso! —

—Chi c’è con te? —

—Nessuno, al momento. Ho preso la mia strada, loro non si fidano molto di me… —

—Oh, ragazzo! Sarai un grande esploratore! —

—Nonno, che è successo? Cos’è questo?—

Il gatto si guardò attorno, sospettoso, e ritrasse subito lo scrigno, cercando di nasconderlo sotto la pancia.

—Dopo ragazzo, dopo! leviamoci da qui!—

—Vieni, andiamo a casa . Sarai stremato, vorrai riposare e mangiare…—

—No, baggianate! sono vivo, già è sufficiente! —

Aerik lo guardava stralunato, ma anche con assoluta ammirazione.

—Avrai comunque qualcosa in quel tuo sacco no? —

—È uno zaino, nonno… e sì, c’è qualche provvista—

—Che aspettiamo, andiamo!—

—Dove? —

—Ehm, dov’è che siamo esattamente? —

—A casa, nonno, in Norvegia. 20 km a sud di… —

—Sì, lo so dove è casa mia!— gli fece un cenno con la zampa, come a zittirlo.

—Vieni, di qua. Seguimi. Ci dovrebbe essere un rifugio che hanno costruito dei pescatori, ora è abbandonato. Staremo là, per un po’, fino a che non avremmo deciso come procedere. Dammi il tuo zaino. Lo porto io —

—Sei stremato, non…—

— Corbellerie! — gli sfilò rapidamente lo zaino dalle spalle e ci mise dentro il cofanetto. —Così nessuno lo vedrà! —

—Avrei potuto portarlo io—

—No, preferisco stia al sicuro…—

Aerik non commentò ulteriormente. Pensò che in quel modo avrebbe dimostrato più in fretta di essere pienamente degno di fiducia.

Si accodò al nonno, senza porre domande, ed in breve trovarono una capannetta di legno modestissima, il cui tetto aveva anche qualche buco.

—Entra—

Aerik era titubante, ma venne spinto all’interno.

—Muoviti, non dobbiamo dare nell’occhio—. 

Questo significava, di riflesso, non poter accendere un fuoco per scaldarsi. Si sedettero su sedie impolverate che recuperarono da terra, vicino ad un tavolo su cui erano stati lasciati ammonticchiati dei piatti e qualche tazza.

Il gatto più anziano scostò bruscamente il tutto con una zampata e vi pose al centro lo scrigno. Una scena alquanto seria, a vedersi: nella totale penombra, illuminato debolmente dalla luce che filtrava da una finestrella semi-aperta, uno scrigno, al centro del tavolo reso soffice dalla polvere. Ai due estremi, un gatto anziano, in procinto di raccontare una verità incredibile, e uno giovane, in attesa. Il silenzio fu rotto dal gatto anziano, che iniziò a narrare le sue imprese e le sue scoperte.

—Tempo fa, troppo tempo ormai perché possa essere ricordato come un fatto e non come una leggenda, il nostro antenato si stabilì qui, dopo aver percorso i Sette Mari sotto la guida del famigerato capitano William Whiskers —

Aerik si riscosse.

—Seriamente? Io…—

—Credevi fosse tutta una storiella da quattro tonnetti… vero?—

—Sì, cioè no, cioè… Non sono state trovate prove. La sua storia è così… sembra solo una favola. Addirittura, tu ora mi dici che un nostro antenato era nel suo equipaggio. Io non so cosa pensare… —

—Prove, dici? —gli chiese il nonno, con tono di sfida, e subito aprì lo scrigno con la chiave che teneva il collo. Ne estrasse un medaglione che porse al nipote.

—Tipo questa?—

—Che cos’è? — lo interrogò Aerik, mentre raccoglieva nervosamente quell’oggetto dalle zampe del nonno. Il gatto anziano lo osservava, compiaciuto per lo sgomento che era riuscito a provocare dimostrando la verità che lui stesso inseguiva da anni.

—Pare un medaglione, in effetti e ha una storia alquanto semplice, in realtà: un certo capitano voleva portare sempre nel cuore la sua umana, e l’umano acquisito durante uno dei loro viaggi, e si è fatto dipingere un ritratto. Lo ha portato sempre con sé, fino a che non passò al nostro antenato, suo secondo in comando sul Silver Tuna, che ebbe il compito di tramandare la sua storia ai suoi discendenti e di proteggere il tesoro… —

Aerik si alzò e andò alla finestra: —Mi serve un po’ d’aria… —

—Eh eh, ragazzo! Voi giovani avete un po’ il cuore fragile! —

—Aspetta solo un attimo: tu vieni qui, anzi: io ti trovo qui … quasi annegato—

—Non esageriamo—

—Beh, allora diciamo che eri praticamente morto, ora ti saranno rimaste quante? Tipo tre vite? Io ti ho salvato… Manca poco che mi sbrani per difendere questo scrigno e mi porti in questo, non so come chiamarlo a dire la verità, è una specie di covo di ragni e polvere… E mi dici che hai rischiato la vita per un capitano pirata che è più leggenda che verità? Perdonami se sono disorientato… —

—No ragazzo, sembra che tu abbia perso la bussola per aver visto un fantasma e questo è positivo, dico sul serio, perché sai di essere al cospetto del reale fantasma di William Whiskers. Questo è quanto. Il tuo cuore lo ha già accettato, sa che è vero, devi solo lasciare che la ragione smetta di frenarti con conclusioni errate… —

Aerik cercò di tornare in sé.

—Aprilo…— il gatto rigirò tra le zampe quel medaglione circolare, leggermente bombato e ornato del simbolo dei pirati del Silver Tuna: due lische incrociate che contornavano la testa, la lisca s’intende, di un tonnetto. Sopra, le sue iniziali intrecciate con quelle della sua umana.

—Vedo solo una L … l’altra fatico a distinguerla … —

—Si dice che fosse perché la accarezzava sempre con le zampe… —

Aerik trovò il coraggio e ne dischiuse delicatamente il coperchio.

— Oh… — sobbalzò all’indietro, tanto fu lo stupore di trovarselo lì di fronte, come se fosse stato dipinto ieri: il ritratto fiero di William Whiskers, con il suo amato cappello blu notte e la sua umana che lo abbracciava, pirata anche lei. Accanto a loro, un umano, che non pareva minimamente un pirata. Il nonno intuì la sua domanda, ma lo zittì prima ancora che potesse emettere un fiato: —Tempo al tempo… E ora non è il tempo per quella storia —

Aerik non aveva più dubbi: era reale, più vero del Sole che sorge tutte le mattine, delle onde che si infrangono a riva. Era sotto i suoi occhi, innegabile, fulgido e un po’ arrogante, il suo pelo bianchissimo, quasi sericeo, gli occhi penetranti tra il verde ed il giallo, una coda buia come la notte, ma con una chiazza più chiara, e le due inconfondibili macchiette nere sulla fronte, due mezzelune quasi speculari.

—Come arrivarono qui… —

—Oh, il diario dello stesso William Whiskers, conservato proprio qui, in questa scatola — disse battendovi la zampa sopra —ce lo dice chiaramente. Ho intenzione di scriverne un libro, semmai finirò la mia impresa, per far conoscere questa verità al mondo intero. Il titolo sarà: La pirata è l’inventore. La vera storia del Capitano William Whiskers. Indovini perché? —

— La sua umana… —

—Esatto!—

Aerik venne a conoscenza del fatto che William Whiskers non nacque pirata, Come quasi nessuno del resto. Orfano in giovanissima età, conobbe come prima vita solo quella sul mare e, probabilmente, se non fosse andato storto quello che effettivamente andò, non avrebbe mai conosciuto l’esistenza della Terraferma.

I pirati, all’epoca numerosissimi nei mari dei Caraibi, lo avevano raccolto, con molti altri durante una razzia, non si sa per quale ragione, sulle coste dell’odierna Turchia. Finì subito nella stiva, per scacciare i topi dalle provviste. Si dimostrò più ingegnoso di ogni altro gatto a bordo e svolse bene il suo lavoro, fino a quando quella vita non cominciò a stargli stretta. Alla sera, quando nessuno lo vedeva, aveva preso l’abitudine di sistemarsi sulla finestrella degli alloggi del capitano, un uomo gretto e di scarsa intelligenza, ma che amava collezionare libri, mappe, strumenti scientifici e, soprattutto, racconti. Si circondava di uomini, rapiti durante i viaggi naturalmente, che gli potessero enumerare le meraviglie che il mondo allora conosciuto conteneva. Ed ecco che una sera William correva tra gli animali più esotici, o attraversava i deserti più aridi, oppure ancora si trovava in mezzo a monumenti, veri portenti di ingegneria. Era diventato presto stanco della sua vita monotona: voleva vedere il mondo, voleva imparare quella scienza il cui potere veniva declamato da quegli avventori di passaggio. Pianificò nel dettaglio un ammutinamento, ma quando capì che gli altri gatti non l’avrebbero mai seguito, si risolse a progettare la sua fuga. Era risoluto: qualunque fosse stato il prossimo porto, sarebbe sgattaiolato fuori e non avrebbe più fatto ritorno. Un ottimo piano, se non fosse che qualcosa lo frenò. Il capitano aveva intenzione di fare caos in quella città, perché si era messo in testa che avrebbe preso moglie. Pertanto, rapì la più bella, la più gentile e la più intelligente ragazza del posto, che di mestiere vendeva pesce. Da ciò che sappiamo da William stesso, anche lei non aveva famiglia. Nel vedere quella creatura che veniva trascinata a forza sulla nave, senti un moto sconquassagli lo stomaco: non poteva fuggire ora, doveva salvarla, per scappare insieme, se lei lo avesse desiderato. Anche se sapeva che non c’era tempo da perdere, restò calmo ed osservò per qualche giorno la situazione. La ragazza restava, per lo più sconvolta, nella sua cabina.  Una sera sentendola singhiozzare, non resistette e si intrufolò, con le sue abilità di scassinatore. Le si accoccolò in grembo. La ragazza si stupì, ma, felice di quel contatto e di quel calore rassicurante, prese ad accarezzarlo. Quando capì che si sentiva a suo agio, William parlò: —Io sono William!—

La ragazza, come puoi immaginare, saltò in piedi di scatto e lo scagliò letteralmente a terra, urlando.

—Shttttt! — gli fece William —Per l’amor di Poseidone, donna: non urlare o faremo una sfilata per gli squali stasera !—

—Tu… parli…? — domandò l’umana, cercando di convincersi di questa evidenza mentre lo diceva.

—Sì… esatto… lo hai sentito… io parlo —

L’umana tornò a sedere sul letto, sorreggendosi con le mani per non cadere.

—Sto vaneggiando… o sono morta —

—No, sei sana di mente e ancora in questo mondo… —

—Già, questo mondo potrebbe essere chissà quale, per quanto mi riguarda! Quindi, non sei incoraggiante neanche un po’!—

—D’accordo, scelta di parole pessima… scusami: Sei viva, tranquilla—

—Ma tu parli?—

—Ancora?!? Sì, parlo. E tu mi capisci, vuol dire che abbiamo una connessione. Capita, di rado, ma può accadere… —

—Ti ha mandato qualcuno?— la ragazza era già sulla difensiva.

—No, sono un ostaggio per così dire, come te. Lavoro qui, scaccio i topi, ma il mio sogno e vedere il mondo, imparare l’astronomia. Voglio scappare e l’avrei fatto se non fossi arrivata tu. Non posso lasciarti qui, Voglio portarti con me —

Gli occhi dell’umana si colmarono di lacrime, che scesero scintillando sul suo volto con la stessa luce della luna.

—Perché?—

—Io… non posso lasciarti qui. Ti ho sentito vicino a me, immediatamente. Sai, sono stato strappato alla mia famiglia che non vedevo ancora. Non ho mai avuto nessuno, ma nel mio cuore sento che mi posso fidare di te, che ti devo salvare —

—Anch’io non ho famiglia—

—Saremo la nostra famiglia— disse solennemente William, ponendo la sua zampa sulle sue mani.

—Sono Lilyan… Lilyan e basta… —

—Io William…—

—Bellissimo nome William, altisonante— gli disse mentre gli accarezzava il muso — bei baffi, comunque, e belle macchiette! — gli toccò con un rapido cenno del dito le due mezzelune sulla fronte.

Per quanto entrambe desiderassero indugiare in quel momento, approntarono la bozza del loro piano di fuga.

Lilyan sapeva che di lì a poco avrebbe dovuto cenare, ogni sera, col capitano.

William l’avrebbe protetta, vegliando dalla sua finestrella preferita, ma lei avrebbe dovuto aprirla, lasciandola socchiusa così che William avrebbe potuto introdursi, non visto, all’interno.  Lilyan aveva il compito di versare, logicamente senza farsi scoprire, nel vino del capitano un potente infuso di papavero, che il gatto aveva rubato ad uno dei precedenti —ospiti— della nave.

Con il capitano fuori gioco, William avrebbe rubato tutto il necessario per sopravvivere in mare dopo la fuga e lo avrebbe nascosto su una scialuppa.

Continuò così per qualche settimana, periodo in cui riuscì anche a sgraffignare provviste dalla cucina. Il giorno designato per la fuga era la vigilia della Primavera, quando il veliero sarebbe ormai stato in prossimità del Mar dei Caraibi. Peccato, che il capitano quella sera decise che fosse proprio il momento buono per sposare la ragazza.

Il tutto fu molto concitato: a bordo già regnava il turbamento generale e, quando la ragazza non si trovò più, il caos sì mischio al panico e agli spari nel vuoto.

—Trovatelaaaa! — gridava il capitano. L’equipaggio correva a babordo e tribordo, senza meta e senza un disegno preciso. Sarebbe andato tutto liscio, se il mare non fosse stato una tavola e la luna fosse rimasta nascosta dietro le nuvole, perché d’un tratto la vedetta gridò: —Fuggeeeeeee!— additando la piccola scialuppa che si stava allontanando.

—Prendetela!— ordinò il capitano.

Siccome si trattava pur sempre di pirati, quello che fu immediatamente messo funzione non fu certo il cervello, ma il cannone.

Colpi su colpi si indirizzavano sulla povera Lilyan e su William. Non si sa come, ma una palla scoppiò all’indietro, creando una falla che fece rivalutare in un millesimo di secondo all’equipaggio le proprie priorità.

Grazie a questo colpo di fortuna, se la fortuna avesse le zampe bianche e vellutate di William, perché fu lui a sabotare uno dei cannoni prima di scappare, erano finalmente liberi.

Vagarono per giorni, ma la terra ancora non era in vista.

—Senza vento non ce la faremo mai, siamo perduti… — sospirò Lilyan.

Per di più, all’orizzonte la sagoma di un veliero si approssimava minacciosa.

William era visibilmente preoccupato: non avevano niente per difendersi con sé, sarebbero caduti nuovamente prigionieri.

Per un caso, quel veliero fu intercettato prima da quello che pareva proprio un grande pesce, o forse una balena, che con un movimento della coda rovesciò l’intera nave, facendola sparire per un po’ con sé sotto le onde. Riemergendo, lo spostamento d’acqua la tirò su nuovamente come se niente fosse stato: a parte qualche albero spaccato e qualche altro danno qua e là, la nave sembrava incolume. L’enorme pesce scomparve con uno spruzzo bianco e spumeggiante negli abissi. I due erano sconvolti. Concordarono di avvicinarsi per accertarsi dello stato dei passeggeri. La nave portava bandiera pirata, anche se ridotta a brandelli. William salì a bordo con l’aiuto delle sue abilità feline,  e calò una scala di corda per Lilyan, che vi assicurò anche la scialuppa. A bordo non trovarono nessuno. Se fosse stata una nave alla deriva o se l’equipaggio si fosse perso a causa dell’immersione, non avrebbero potuto dirlo.

—Beh, in ogni caso è una bella nave. Resistente, grande, con dispositivi di difesa… —

—Pirata…— precisò Lilyan, un po’ scocciata.

—Non possiamo sopravvivere solo con la scialuppa, questo lo sai anche tu… non è di nessuno. La sistemiamo ed è nostra —

Riuscirono ad arrivare su un’isola, Tortuga, famigerata isola dei pirati e non fecero nemmeno in tempo a sbarcare, che seppero che non vi era pirata che non conoscesse e la loro storia. Chissà per quale strana ragione, si era sparsa la voce che una donna ed il suo gatto, entrambi pirati, avessero sgominato l’intera ciurma di una nave pirata con una strana diavoleria e che ne avessero rubato la nave. Erano temuti, sì, ma rispettati. Nessuno osò a parlare loro se non interrogato e Lilyan scoprì presto che, forse, fingersi pirati aveva i suoi vantaggi. La nave fu riparata e, in breve, decedettero quella che sarebbe stato la loro vita d’ora in poi.

—William non posso diventare pirata… —

—Ma non saremo pirati, non nel senso che intendono tutti, anche se glielo lasceremo credere. Saremo pirati esploratori, scienziati… Andremo alla scoperta dei luoghi più sensazionali ed inesplorati del globo terracqueo. Sì, magari metteremo insieme un piccolo equipaggio, gente fidata per stare sicuri e saremo liberi, tu ed io, per sempre… —

Lilyan si convinse. Crearono la loro bandiera: velluto blu notte con ricamate le due lische incrociate ed il teschio di tonnetto.

Battezzarono la nave come il Silver Tuna e William trovò che l’appellativo Capitan William Whiskers sarebbe stato il suo alias da pirata, memore di uno dei primissimi complimenti che gli aveva rivolto Lilyan. Il resto è storia… Le innumerevoli imprese, l’incontro con l’inventore…

—Solo una cosa mi è oscura…—

—Sì…—

—Che cosa facciamo con tutto quell’oro e argento che c’è nella stiva? —

—Ah…— rispose colto in fallo William —Beh, quello consideralo come una riserva… tipo per i giorni di burrasca… —

—Uhm uhm… — annuì sarcastica Lilyan.

—Sì… —

—Sono tesori rubati —

—Non c’è bisogno di ricordarmelo. Non li abbiamo rubati noi, ma non sappiamo a chi appartenessero. Quindi ce li teniamo —

—Ottimo ragionamento, non fa una piega!—

—Sai che ti sta bene quel vestito da bucaniere che hai scelto, e i capelli così, con gli orecchini a cerchio, ti danno un tocco… —

Lilyan sorrideva.

—Dai, lo teniamo, d’accordo! A patto che serva a qualcosa di meglio… —

William propose che avrebbero fuso il metallo prezioso, creando dei contenitori per conservare il miglior tonnetto pescato in ognuno dei mari che avrebbero visitato. Ogni scatola, sul coperchio, avrebbe avuto impresso lo stemma di William Whiskers e questo cibo sarebbe poi stato destinato ai mici più poveri dei porti che avrebbero raggiunto.

—Non andò proprio come si aspettava… —

—Esattamente, nipote… William Whiskers visse molti anni oltre quelli che furono concessi alla sua umana. Si diceva avesse trovato la fonte dell’eterna giovinezza, invece, come attestato da lui stesso, ebbe solo una salute di ferro ed una vita molto longeva. Ormai, credendolo un terribile pirata, tutta la Marina delle maggiori potenze navali dell’epoca gli dava la caccia. La verità che ci tramanda William è chiara: non volevano catturarlo in quanto pirata, volevano entrare in possesso del suo ingente numero di scatolette di tonnetto, scatolette d’oro e d’argento.

William era braccato e non avrebbe potuto destinare il suo tesoro e bisognosi, non tutto almeno. Decise che avrebbe dovuto nasconderlo. 

Optò per Tortuga, perché era il luogo in cui, insieme a Lilyan, era rinato gatto pirata, gatto libero, gatto amato

Sapeva che c’era una spiaggetta nascosta da scogli quasi impenetrabili, dove nessuna nave si sarebbe mai avventurata: l’avrebbe nascosto lì, sotto la sabbia, con il solo custode il sole cocente del Mar dei Caraibi.

Stava raggiungendo la sua meta, quando fu sorpreso dalla Marina Inglese. O così almeno credette William: era notte fonda, la più buia di tutte le notti di quell’anno. Non una stella, tantomeno la luna, a rischiarare la via.

—Arrenditi William whiskers: sei circondato!— si sentì urlare nel silenzio tetro.

—Giammai!—

—Filibustiere! Verrò a prenderti e consegnerò la tua testa alla corona! —

—Ti aspetto!— lo sfidò William.

La battaglia fu cruenta: le palle di cannone non si lesinarono di certo e le scintille della polvere da sparo squarciavano il buio. L’equipaggio della Marina salì a bordo del Silver Tuna, William ordinò alla sua ciurma di mettersi in salvo. Strappò ad Olaf, il nostro antenato, la promessa di mettersi in salvo e di recuperare il tesoro, prima o poi, e se non fosse riuscito lo avrebbero fatto i suoi discendenti.

William si strappò dal collo il suo medaglione e fu sul punto di affidarglielo, quando il nostro antenato lo respinse: —No, questo me lo darai più avanti. Io sto con te, fino alla fine!—.

William Whiskers colmò il suo cuore di ritrovata energia e gridò: —Per l’ultima volta, amico, all’avventuna!— e si gettarono nella mischia, combattendo strenuamente.

Ma, ahimè, due contro cinquanta: non avevano speranza. William decise che non sarebbero entrati in possesso del tesoro, non per i loro vili fini. Così, come già fece per rendersi libero tanto tempo prima, corse i cannoni, li puntò verso la sua stessa nave e li accese.

La nave sprofondò in un battito di ciglia, con pezzi che saltarono letteralmente in aria e colpirono anche la nave della Marina, lasciandola alquanto ammaccata, ma ancora a galla.

William Whiskers ed Olaf si misero in salvo per il rotto della cuffia, forse sprecando una o due delle loro nove vite. Alla fine, purtroppo, anche la loro resistenza non fu abbastanza, perché furono catturati. Tuttavia, scapparono quando non ebbero ancora raggiunto l’Inghilterra, non prima di aver rubato una ventina di scatolette tra quelle poche di cui era riuscito ad impadronirsi il loro rapitore.

Queste scatolette li aiutarono a sopravvivere fino a che non raggiunsero le coste della Norvegia. Il metallo prezioso fu recuperato e speso per garantire ad Olaf e William una vita dignitosa. Ma a William la terra stava ogni giorno più stretta. Sorprendendolo a fissare il mare, Olaf gli disse solo: —Va. Non sei fatto per acciambellarti su un cuscino davanti al camino—

—Il Silver Tuna è perduto— rispose, senza smettere di puntare gli occhi all’orizzonte.

—Sarà sempre nel tuo, nel nostro, cuore. Il metallo delle scatolette ti permetterà di acquistare un bel veliero. Non sarà il Silver Tuna, ma è un inizio—

—Sarai con me ?—

Olaf titubò un istante.

—Capisco, hai ragione. Non posso chiedertelo. Siamo ricercati, in fondo. Una taglia, beh forse non è solo una, pesa sulle nostre teste. Proteggi il segreto del Silver Tuna, recupera il tesoro. Io devo partire, ci sono ancora troppe aree sulle mappe che non abbiamo esplorato. Era il nostro sogno. È come se Lilyan fosse ancora con me laggiù, in mare aperto: nell’ignoto di quella vastità tutto può essere e il suo profumo è sempre misto a quell’aria. Quando sentirò che sarà arrivato il momento, ti invierò all’indirizzo che abbiamo ora questo medaglione. Lo tramanderai ai tuoi figli, terrai viva la nostra fama e, chissà, un giorno forse il tesoro vedrà nuovamente la luce. Bada solo che sia usato per il bene—.

—Sarà fatto, parola d’onore. Tu, nel frattempo, tieni questa —Olaf estrasse dalla tasca del gilet un pacchettino avvolto in stoffa blu.

—è un… —

—Pezzo della nostra bandiera? Sì. Era tanto che volevamo omaggiartene— rivelò un cilindro scintillante —è una scatoletta, del tonnetto più prezioso pescato nelle Indie. Lo abbiamo conservato per te, inscatolato in puro oro bianco e argento, è il Silver Tuna per antonomasia. Il nostro stemma è ricamato dagli zaffiri più blu del Ceylon—

—Non ho parole per esprimere la mia gratitudine… Mi ricorderà di te, di tutti noi —

Di lì a poco, William Whiskers si procurò un veliero, un equipaggio e riprese il mare.

—Come vedi, mantenne il giuramento — indicò il gatto anziano, riportando bruscamente Aerik al presente.

—Abbiamo il medaglione, ma non ci lasciò solo quello. Volle regalarci anche le sue memorie, il suo diario, e queste… —

Aerik si avvicinò e dischiuse la stoffa logora, ma ancora visibilmente blu è soffice, di un pacchettino.

—Il tonnetto d’argento… —

—E d’oro bianco e zaffiri, sì…—

—Tonnetto d’annata!— scherzo Aerik, soppesandolo con la zampa.

—Ti consiglierei di non mangiarlo, però… Se non ti farà venire il mal di pancia il contenuto, avrai sicuramente mal di testa che ti procurerò io. Non azzardarti ad aprirla, intesi?— il tono era seriamente minaccioso, tanto che Aerik posò delicatamente quel tonnetto sul tavolo.

Suo nonno rimise velocemente tutto nello scrigno.

—Quindi, tu avresti fatto un viaggio assurdo e rischiato una vita solo per capire dov’è il tesoro? Ma non ha lasciato delle coordinate precise?—

— Figurati! Solo indovinelli e rompicapi… che ho risolto e sì, ragazzo. Ora io so dov’è. Ho trovato il posto! Ho recuperato questo— disse, mostrandogli una scatoletta più piccola, ma d’oro massiccio. —Sono tornato perché mi serve un dispositivo tecnologico che possa essere in grado di immergersi ed elevate profondità e di ospitare un carico non indifferente—

—Lo vuoi davvero recuperare, dunque? —

—Fino all’ultima lisca—

Aerik lo guardò allibito: —E cosa ne farai? —

—Cosa ne faremo, innanzitutto. Lo consegneremo ai gatti bisognosi del mondo, così come voleva William Whiskers—

Il gatto anziano si sentì in dovere di fare presente: —Non per mangiarli… Sarà l’oro del contenitore che li aiuterà —.

Rocky interruppe qui il suo racconto.

—Il resto è storia. Il nonno di Aerik non riuscì a recuperare il tesoro, perché il dispositivo subacqueo che aveva a disposizione non era in grado di restare sott’acqua il tempo necessario alle ricerche… —

Spiegò, inoltre, che Aerik terminò il suo libro su William Whiskers e lo avrebbero pubblicato solo quando il tesoro fosse venuto alla luce.

Purtroppo, il nonno di Aerik non vide mai il tesoro, anche perché i suoi calcoli non erano totalmente precisi e, complice il fatto che non poteva restare troppo sott’acqua, non si avvicinò mai veramente al luogo reale del naufragio. Aerik, come puoi immaginare, l’ha reso l’obiettivo della sua vita: non si fermerà nemmeno lui, finché quel tesoro non sarà riportato a galla, finché la memoria di William Whiskers tonerà ad essere realtà e non più solo leggenda.

Il sole era ormai calato sotto il pelo dell’acqua e l’orizzonte si era riempito di stelle. La luna aveva portato con sé anche una brezza frizzante. Sul tavolo, una lampada rischiarava i loro musi, rendendo quel rendez-vous ancora più misterioso.

—Tu pensi che stavolta l’abbia veramente trovato?— domandò Aiden.

—In qualunque modo, è giusto non abbia perso la sua passione. Se sia questo un punto di arrivo, io non posso dirlo. Posso solo credere che per costruire un sottomarino sperimentale sia molto plausibile che abbia avuto per le zampe qualcosa di grosso— rispose Artù. 

Se ne tornarono nelle loro cabine, congedandosi quasi in silenzio, perché assorti nelle vicende del pirata del Tonno d’Argento. 

Una mattina tiepida, approcciarono finalmente le coste di Tortuga, situata nel gruppo di isole del Mar dei Caraibi.

Una volta in porto, scaricarono il The Cat Path, e, di conseguenza, riempirono nuovamente il velivolo di tutti i loro bagagli. Ringraziarono l’equipaggio ed il capitano, che assicurò che li avrebbe attesi in porto.

—Saremo in quattro—

—Lo avevo già messo in conto — lo rassicurò il capitano.

Il The Cat Path prese il volo in direzione dell’Istituto di studi archeologici di Tortuga.

Per fortuna, nei dintorni vi era uno spiazzo ampio, di terra battuta, che consentì un atterraggio pulito.

Su quella che si potrebbe definire a tutti gli effetti la pista, li attendeva già il gatto che dirigeva l’intera società. Una vecchia conoscenza. Rocky lo notò immediatamente.

—Ehi, Andrès! Chi si rivede! È fantastico ritrovarci in una situazione più ordinaria, passami il termine! —

—Anche per me è un piacere rivedervi!— rispose il gatto tigrato che avevano davanti. —Diciamo, però, che per quelli come noi l’ordinario è l’avventura. Dunque, questo potrebbe anche rappresentare un eccezione! —

—Sì—, concordò Artù —però è bello non ritrovarsi a causa di un rapimento! —

—Ancora grazie per avermi aiutato, l’altra volta!— disse timidamente Aiden, spuntando da dietro la spalla di Rocky.

—Oh, Aiden  ¿que tal? Es un placer tenerte aquí! —

—Uhm? —

—Oh, Aiden non è ancora molto ferrato con le lingue —

—Lo so !— se la rise di gusto Andrès —Volevo solo vedere su expresión confusa una vez más! Venite, vi faccio strada! —

Mentre si dirigevano all’interno, Artù non poté fare a meno di notare la facciata bianca con ampie arcate dell’Istituto: uno stile che si addiceva perfettamente al luogo.

—Buenos días director Andrès! —

—Buenos días, Carlito ! —

—Direttore?— esclamò incredulo Rocky — Non ce lo avevi detto —

—Non ne abbiamo avuto il tempo… —

Nessuno dei tre sì dilungo oltre in questo discorso: in fondo, nemmeno loro si erano mai interrogati sul suo conto. Attraversarono un atrio dal soffitto molto alto, con piante tropicali dai fiori con petali delicati ed eterei, che ne adornavano gli angoli, e alle pareti un susseguirsi di dipinti di golette, velieri e brigantini. Andrès pareva piuttosto ansioso di condurli in un’ala ben precisa della struttura, che di lì a poco si rivelò essere il suo studio. Richiuse la porta e si accertò, con una rapida occhiata, che nessuno li stesse spiando dalla finestra. Quella stanza contrastava nettamente con lo stile del resto dell’Istituto, o almeno rispetto a quello che avevano potuto osservare. L’ufficio era reso scuro, quasi buio per certi versi, dalla  spropositata quantità di quadri alle pareti: alcuni raffiguravano scene di vita quotidiana, altri insetti della flora amazzonica, altri ancora piramidi mesoamericane. Dove non erano appesi i quadri, il muro era reso invisibile da vaste scaffalature, che contenevano i libri degli argomenti più disparati. La scrivania, in legno di teak, dava le spalle alla finestratura con vista sul mare. Sul pavimento, un tappeto di fattura persiana, sui toni del celeste. Rocky e Artù trovarono posto in due poltroncine in fronte alla scrivania di Andrès, mentre Aiden restò in mezzo a loro, seduto sulle sue zampe. Un’ulteriore occhiata furtiva al cortile e anche Andrès si sedette, dopo aver accostato un po’ i pesanti tendoni di velluto bordeaux.

—Bene, avete ragione, me hace muy raro discutere senza inseguire un’auto impazzita a bordo di un aereo, vero Aiden?— era teso e fare battute ebbe l’unico effetto di evidenziarlo maggiormente. Aiden fece un cenno affermativo, mostrando di stare all’atmosfera scherzosa.

—Prima che possiate farmi tutte le domande che credo proprio avrete per me, e saranno tante, lasciatemi dire che il professore Aerik non è mai stato abbandonato da nessuno di noi. Aveva una squadra corposa, che lo seguiva giorno e notte, non era mai solo. Tranne… —

—Tranne…?— lo esortò Rocky.

— Eh, tranne per quando usava quel maldito submarino che ha costruito qui con il progetto che nessuno poteva vedere per intero! — gridò Andrès.

—Il nostro sottomarino sperimentale… — sospiro Aiden, sentendosi in colpa.

—Non è colpa tua, Aiden— lo tranquillizzò Artù, girandosi verso di lui ed afferrandogli forte le zampe anteriori —se lo sarebbe costruito comunque e Alisander solo sa quanto sarebbe stato peggio… Aerik non ne capisce un’acca di ingegneria…—

Maldito submarino!— strillava Andrès.

—Comunque, il sottomarino aveva un sacco d dispositivi di sicurezza e…—

—Non mi interessa, Aiden! Se il Creatore non ci ha donato le branchie, significherà pur qualcosa, no? I gatti non devono avventurarsi sotto il mare, non a quelle profondità!—

Andrès era fuori di sé, molto distante dall’immagine di gatto calmo e bonaccione che avevano visto nella foresta messicana.

—Perdonami, Andrès: questo è totalmente in contrasto con i principi della nostra Società. La luce della conoscenza deve sconfiggere le tenebre della superstizione. Siamo in un’era di prodigiosi progressi tecnologici. Sarebbe stupido non sfruttarli per le esplorazioni…— precisò Artù.

—Aaaaah…— sospirò Andrès, sprofondando nella sua poltrona —Scusate, sono sconvolto. Non avevo mai perso nessuno dei nostri, prima—

—Aerik non è perso. Solo momentaneamente le sue coordinate attuali non sono geo-localizzabili con precisione— Rocky con questa frase riuscì a strappare un sorriso, forse nervoso, a Andrès, che riprese a spiegare: —Era già andato giù con quell’aggeggio. Ma quel giorno disgraziato aveva chiesto alla squadra di non prepararsi, perché non sarebbe uscito in mare. Invece, ci andò, ese bandido! Voleva restare probabilmente di più là sotto, più di quello che gli avevamo concesso. Ovviamente, credevamo fosse nelle sue stanze, non ci accorgemmo che mancava se non prima dell’ora di cena— Andrès nascose la testa tra le zampe, disperato.

—Naturalmente, partimmo subito a cercarlo. Non vi era traccia di lui o del suo sottomarino. Ad oggi, non l’abbiamo ancora rintracciato—

I tre gatti della Royal Crowder Society lo fissavano sconcertati: come poteva essere scomparso? Dove era andato? Poteva davvero essere accaduto il peggio?

—Adesso le ricerche le piloteremo noi— comunicò risoluto Artù —Grazie per quello che avete fatto sinora, è stato molto prezioso—.

—Ma inutile!—

—Non disperare, Andrès, abbiamo qualche asso nella manica— bluffò Rocky.

—Speriamo…—

—Lo riporteremo qui, Andrès, e potrai abbracciarlo— disse Artù.

—E quando mi capiterà sotto le zampe, gi darò anche una bella strigliata per tutti gli spaventi che ci ha procurato!— scherzò Andrès.

Chiesero il permesso per iniziare le ricerche non appena fosse giunto il giorno successivo. il The Cat Path fu allestito a dovere. Andrès fornì il punto in cui Aerik era solito raggiungere per iniziare le sue investigazioni. Si trattava di una zona a nord-ovest, al largo di Tortuga.

Appena fece giorno, quindi, i tre studiosi partirono ad esplorare quelle acque. Lasciato il suolo, Andrès borbottò tra sé e sé: —Non so cosa si aspettino di trovare… abbiamo setacciato ogni onda. Aerik non c’è…—

Non terminò la frase, che il The Cat Path era già scomparso dietro le nuvole.

—Quota di volo raggiunta, Rocky. Stabilizziamo la rotta!— comunicò Artù.

—Perfetto, Artù, seguiamo l’itinerario previsto. Aiden, tutto a posto?—

—Tutto regolare, Rocky!—

Il mare intorno a Tortuga era mosso da una leggera brezza, che increspava la superficie turchese e cristallina. Trascorsero ore senza che quella vista cambiasse e senza scorgere un eventuale naufrago.

—Rocky, forse dovremmo tornare a terra e rivedere il piano di ricerca— propose Artù.

—Probabilmente sì…— si intromise Aiden —ma se potessi permettermi di fare un’obiezione, vi direi di continuare a cercare in mare…—

Rocky ed Artù lo osservarono interrogativi.

—Aerik ed io abbiamo previsto svariati dispositivi di emergenza e di salvataggio. In ultimo, qualora Aerik si fosse trovato seriamente nei pasticci, avrebbe potuto recarsi alla navicella eiettabile—

—La navi-che-cosa?— sillabò Rocky.

—La navicella eiettabile. È un sottomarino in miniatura, con un suo piccolo sistema di alimentazione e propulsione, che gli avrebbe consentito di salvarsi, se il Tuna Catcher avesse avuto avarie irreparabili—

—Tuna Catcher?— chiese Artù.

—Sì, è il nome del sottomarino di Aerik. Comunque, sono abbastanza sicuro che Aerik lo abbia usato e che sia stato catapultato da qualche parte—

—Incoraggiante…— fece ironico Rocky.

—Almeno le probabilità che sia ancora vivo sono molto aumentate rispetto a qualche minuto fa…— Artù era sempre il gatto più saggio del gruppo.

Aiden spiegò che, purtroppo, la navicella non aveva un vero e proprio timone: il meccanismo di espulsione aveva la potenza necessaria per distaccarsi quanto più possibile dal sottomarino in un lasso di tempo brevissimo. C’era sì una specie di timone, ma aveva una funzione quasi trascurabile, in quanto l’obiettivo primario era quello di far risalire il piccolo sottomarino in superficie. Così, nessuno avrebbe potuto sapere con certezza dove potesse arrivare, una volta distaccato dal Tuna Catcher. In più, la navicella non aveva altra propulsione da superficie, se non un remo. Date queste premesse, Aerik avrebbe potuto essere ovunque.

—Fantastico, Aiden… oserei consigliare che la prima modifica da apportare potrebbe essere quella di migliorare la navicella eiettabile — suggerì Artù.

—Senz’altro!—

Fiduciosi in ciò che aveva detto Aiden, sorvolarono una zona molto al largo di Tortuga, ma sempre in direzione nord/ nord-ovest. 

—Ragazzi!— la voce di Rocky gracchiò nelle cuffie degli altri due piloti del The Cat Path —È ora di tornare indietro, tra poco sarà il tramonto—

Il The Cat Path virò, inclinandosi leggermente indietro, quando Artù notò di sfuggita un luccichio sotto di loro.

—Rocky, aspetta! C’è qualcosa là sotto—

—Cos’è?—

—Un luccichio, come un riflesso…—

—Sarà l’acqua delle onde—

—No, non è uguale a quello che abbiamo visto tutto il giorno… è troppo intermittente e allo stesso tempo ripetitivo in maniera non naturale—

—Torno sulla zona di prima! Aiden: aiuta Artù!—

I due gatti poterono constatare che si trattava di un messaggio in codice… il codice Morse riadattato per la Royal Crowder Society! Doveva essere per forza Aerik!

Rocky…Chaos…Soup…Hariball…Elastic…Loaf… Paws… Rocky…Chaos…Soup! HELP- RCS! —

—Help! E porta anche la sigla di tutti i messaggi della Royal Crowder Society! È sicuramente Aerik!— strillò Artù, al colmo della gioia.

—Ma là sotto non è segnata terra ferma!— esclamò Rocky —Non posso rischiare un atterraggio!—

—Vai Rocky!— disse Aiden.
— Aiden n che farfugli?—
—Mentre eravamo in viaggio in nave ho portato una piccola modifica al The Cat Path: ora abbiamo un carrello per atterrare sulla terraferma e uno per atterrare in acqua—
—Hai messo dei pattini al The Cat Path?— Rocky aveva gli occhi fuori dalle orbite, non voleva credere che qualcuno avesse —giocato— con il suo aeroplano, per di più a sua insaputa!
—Artù lo sapeva… — si scusò Aiden.
— Pure? Questo è un complotto… —
— No Rocky, Tu avresti detto no… —
—Beh forse, ma adesso ci servono, dunque: Aiden è il tuo momento. Prendi il comando e atterriamo! —
Aiden portò il velivolo ad appoggiarsi dolcemente sul pelo del Mar dei Caraibi.
Nella penombra, ancora quello luccichio implorante, ma non veniva dall’acqua, bensì da un isolotto striminzito, con qualche palma e poco altro.
—Non è segnato su nessuna carta!— ripeté Rocky, passando velocemente in rassegna le mappe che avevano a bordo.
—Non sarà mai stata scoperta, è così piccola che è plausibile. O è nata da poco, magari è di origine vulcanica —propose Artù.
—Ora dove lo ancoriamo?— domandò Rocky.
Aiden alzò una zampa, come voler dire qualcosa, ma Rocky lo interruppe bruscamente: —No, d’accordo, ho capito, non dite nulla: avete previsto anche questo e c’è una qualche diavoleria, tipo ancora, che si cala da qualche parte… —
—Esatto!— confermò orgoglioso Aiden —Ce ne sono due, una per ogni pattino, Basta che tiri questa leva qui… e possiamo scendere con una piccola scialuppa… —
—Frena! Là fuori è pieno d’acqua! Io non scendo! Anzi, sai che ti dico? io questo coso lo faccio decollare e atterro là sulla spiaggia —
Rocky non attese nemmeno conferma dai suoi amici, che il The Cat Path era già partito. Faticò ad atterrare, perché lo spazio non era moltissimo. Si fermò proprio a ridosso di un gruppetto di palme, il cui tronco era stato reso obliquo dal vento.
—Ehi Rocky, attenzione!— lo rimproverò bonariamente Artù —Stavi per far toccare l’elica contro quelle palme!
—Oh, non temere: tutto calcolato al millimetro!—
—Bene, altrimenti Aiden avrebbe dovuto riparare l’elica un isolotto sperduto dei Caraibi, avvalendosi praticamente di nulla! —precisò Artù.
Ma Rocky non se la cavò comunque con poco: appena Artù finì la sua frase, una noce di cocco cadde diretta sul vetro frontale dell’aeroplano, con un tonfo sordo.
—Perfetto!— esclamò Artù —Proprio quello che ci voleva!— disse sarcastico.
—Tutto calcolato, eh? anche il cocco…? —gli fece eco Aiden.
Rocky sarebbe stato visibilmente rosso per l’imbarazzo, se il pelo non l’avesse nascosto. Riuscì solo a rispondere con un’alzata di zampe, mo’ di scuse.
—Domani, con la luce del giorno, verificherò potenziali danni— comunicò Aiden.
— Scendiamo dai, cerchiamo Aerik —
—Sì Artù, prendiamo gli zaini. Lasciamo Aiden al comando. Come al solito, per qualsiasi ritardo, vieni a cercarci!— disse Rocky, con ironia, all’amico esploratore.

—Sarò la vostra ancora di salvezza, puoi contarci!—

—Ci vediamo fra poco!—

Scesero dal velivolo e Rocky disse sottovoce: —Lo spero…!—

Con l’aiuto di due torce, si inoltrarono nel fitto di quella vegetazione tropicale, che per lo più sembrava composta da palme e qualche fiore dal profumo forte, la cui specie non poteva essere definita con esattezza a causa del buio.

Chiamavano a gran voce il nome di Aerik, ma non ottennero risposta; anche il luccichio, che aveva mandato il messaggio nel codice Morse che la Royal Crowder Society aveva creato per i propri membri, aveva smesso di emettere segnali.

Si riconosceva, perché all’inizio di ogni messaggio si ripetevano sempre le iniziali RCS. Per loro comodità, inoltre, i gatti della Royal Crowder Society avevano ridefinito l’alfabeto fonetico con nomi più adatti a dei mici. Trascorsero quasi un’ora e, dato che la visibilità era scarsa e non si potevano scorgere le stelle sopra le loro teste per il fitto delle palme, non capivano se si fossero persi o se stessero girando in tondo.

—L’isola non è vastissima, Rocky: o non c’è, o stiamo girando in tondo— se ne uscì Artù.

—Però lo hai visto anche tu, il messaggio era inequivocabile e la ripetizione fa sì che sia impossibile che sia stato un caso—.

—Ora, però, non c’è più. Se si fosse trattato di Aerik, avrebbe risposto, sarebbe uscito allo scoperto, anche solo quando siamo atterrati…—

—Sì, è stranissimo…—

—Forse ce lo siamo immaginato, simo stanchi. Torniamo al The Cat Path e domattina riprenderemo la via di Tortuga— propose Artù.

Rocky avrebbe anche accettato, se non fosse stato letteralmente aggredito alle spalle.

—Non prenderete il mio tesorooooooo!—

—Aerik?— chiamò allibito Artù, alzando la torcia per vedere meglio.

Aerik, che stava lottando con Rocky, si interruppe e lo fissò: —Artù???—

—E Rocky… Coff….Coff!— si intromise il Professor Rockwood, sputando la sabbia che aveva ingoiato nella colluttazione.

—Che ci fate qui?— domandò Aerik, stupito, lasciando libero Rocky e rialzandosi a sua volta.

—Ma che bello rivederti, Aerik! Sai, pensavamo fossi morto! ci siamo fatti chissà quanti giorni di nave per essere qui e abbiamo volato tutto il giorno per cercarti. No, non ci devi ringraziare, è stato un piacere! Ma è una costante, da qualche tempo: dobbiamo organizzare un corso di buone maniere alla Royal Crowder Society…—

—Siete venuti per me?—

—Nooooooo!— stavolta quello sarcastico era Artù —Per la tintarella!—

Aerik lo guardò contrariato.

—Sia il The Cat Post che il Crowder Chronicles ti davano per disperso e pure l’istituto di Tortuga—

—Beh, che dire: sto bene…—

—Allora perché chiedevi aiuto?—

—In effetti, sono sperduto qui senza mezzi ed il cibo sta scarseggiando, ma quando ho capito che potevo veramente essere allontanato dalla mia meta, mi sono nascosto…—

—E certo: la scienza prima di tutto!—

—Rocky, non capisci: questa volta l’ho trovato per davvero!—

—Ed è sull’isola?— si incuriosì Artù.

—Macché!— lo zittì Aerik, quasi scocciato, come se avesse detto chissà quale assurdità. 

—Ce lo racconterai davanti ad una cena, con cibo vero…— disse Rocky —Forza, lascia tutte le tue cose e vieni al The Cat Path…—

—Devo tornare a prenderle assolutamente!—

—Domani, ora ceniamo—

Aerik fu contento di ritrovare Aiden e subito lo ringraziò per tutte le migliorie tecnologiche apportate al suo sottomarino.

Spiegò che, finalmente, aveva trovato il punto esatto dell’affondamento del Silver Tuna. L’ultima uscita avrebbe dovuto essere quella del recupero del tesoro. L’esplorazione del relitto era già avvenuta senza impedimenti. Si dilungò nel tentare di trasmettere loro la sensazione di meraviglia che provò nel trovarsi di fronte al Silver Tuna, anche se non nelle sue condizioni migliori, per non parlare del momento in cui trovò il tesoro. 

—Milioni di scatolette scintillanti d’oro e d’argento di sono dischiuse alla mia vista…— raccontava, mimandone con le mani il brillio e guardando un punto imprecisato dell’orizzonte: davanti ai suoi occhi era come se si fossero materializzate in una visione indescrivibilmente profonda e vivida come non mai. Reali, più vere dei suoi baffi. Non avrebbe mai dimenticato quella visione. Tornò, solo, il giorno dopo con il sottomarino, con l’intenzione di caricarle tutte e così fece: la capienza della stiva non era nemmeno al suo limite massimo. Tuttavia, lo era ampiamente il suo peso.

—Giunto il momento di risalire, i motori non si accendevano più. Ho tentato di tutto, ma non c’è stato verso. L’aria si stava esaurendo, non potevo nemmeno utilizzare quella della  tuta, perché era già agli sgoccioli, dato che l’avevo utilizzata per recuperare le scatolette. Mi sentivo spacciato… con il cuore straziato, quando mi sono accorto che per sopravvivere avrei dovuto abbandonare tutto, sono stato costretto a mettermi in salvo con la navicella eiettabile. 

—Ottima idea, Aiden— gli disse Artù —Senza la tua invenzione, questo ci avrebbe lasciato tutte le sue nove vite…—

—Però, come sai, da quel momento ho perso cognizione di dove fossi, ho portato con me gli attrezzi e gli appunti e qualche scatoletta del tesoro. Giunto in superficie, ho cominciato a remare, ma Tortuga era troppo lontana da raggiungere così e la corrente mi spingeva in ogni direzione. Per fortuna, ho avvistato questa isola, che non è segnata su nessuna mappa, e ho concentrato ogni sforzo per arrivare qui. Il resto lo conoscete. Solo con la navicella, non averi mai potuto tornare. La mia unica salvezza avrebbero potuto essere solo i soccorsi dell’istituto o una nave di passaggio—

—O noi…arrivati dall’altro capo del mondo!—

—Sì, grazie, a proposito!—

—Oh, gratitudine: finalmente!— se la rise Rocky, trascinando tutti. 

Aiden si arrischiò a chiedere notizie del sottomarino.

—È ancora là sotto, ovviamente! Con tutto il tesoro!—

—Tutto questo pasticcio perché non hai voluto fare più carichi, in sintesi…— dedusse Aiden.

—Più o meno…—

—Hai rischiato la vita per delle scatolette di tonno ammuffito?!?!—

—Non è così Rocky! Tu lo sai, c’è di più del tesoro o del tonno. Si tratta di una promessa, fatta a William Whiskers in persona da un mio avo. Ci ha incaricato di un compito: riportare il tesoro alla luce, darlo ai legittimi destinatari, riscattare il suo nome e raccontare la sua storia… e io, grazie anche al lavoro di mio nonno, ce l’ho fatta. Non potevo fermarmi. Se avessi lasciato là qualcosa, sono certo che non l’avrei più trovato. Qualche malintenzionato lo avrebbe rubato. Il piano era quello di tornare diretto alla Royal Crowder Society—

—Ma Aerik, sei serio???— intervenne angosciato Aiden —Tu volevi veramente percorrere non so quante migliaia di chilometri senza rifornimento?—

—Speravo di trovare rifornimenti lungo la strada. Ipotizzavo di restare non troppo distante dalla terraferma…—

Aiden sbuffò: avrebbe anche potuto funzionare, ma era troppo azzardato, con troppe incognite. 

—Adesso deduco che non possiamo portarti all’Istituto e recuperare il sottomarino con calma, vero?—

—Esatto, Artù: non che non mi fidi di Andrès o degli altri, ma questa è la mia missione… ovviamente li citerò e li ringrazierò, eccetera, quando la scoperta sarà resa pubblica, ma preferirei evitare che troppi ci mettano il naso.—

—Chiaro…— Rocky ea rassegnato.

—Se per voi non è un problema, procederei così…— ed Aerik dettagliò il suo disegno.

Loro tre, naturalmente dopo avergli fornito qualche provvista, sarebbero tornati all’Istituto, dicendo che dovevano riprendere le ricerche e che occorreva anche la RCS Leannah. Segnate le coordinate dell’isolotto, avrebbero tenuto i contatti con Aerik, per riprendere il sottomarino ed il tesoro. Solo lui conosceva le coordinate esatte e non voleva rivelarle, se non al momento opportuno, per non lasciare trapelare troppe informazioni, che adesso erano nella cassaforte più sicura del mondo: la memoria, la sua. Con l’ausilio del secondo sottomarino, che Aerik aveva fatto costruire e analogo al primo, il Tuna Catcher, che con enorme sforzo di inventiva battezzò Tuna Catcher II, si sarebbero immersi ed avrebbero trasferito su di esso parte del tesoro, in modo che il primo sommergibile potesse essere nuovamente operativo. 

Una volta in superficie, il tesoro sarebbe stato trasferito sulla RCS Leannah e portato in un luogo protetto. Nelle sue spedizioni, Aerik, aveva anche recuperato tutti gli oggetti nella cabina del Capitano, la sua intenzione era quella di esporli in un’ala della Royal Crowder Society, da aprire al pubblico, di tanto in tanto. 

—Tu verrai laggiù con noi, vero?— chiese Rocky.

—Ovviamente no! Starò sulla RCS Leannah a coordinare le operazioni! Sarà semplice, vedrai, e sarà veloce: se mi immergessi anch’io, correremmo il rischio di finire l’ossigeno perché faticherei a separarmi dal relitto…—

—Non è logico, lo sai?— bofonchiò Artù.

—Fidatevi di me, io non potrei comunque scendere. Il sottomarino non ha abbastanza capsule di salvataggio e Aiden è l’unico in grado di pilotarlo e di risolvere in breve tempo possibili avarie, deve venire con voi. E poi… non me la sento di tornare laggiù, ho quasi… è presto, insomma… scusate—

Nessuno lo costrinse ed accettarono le sue condizioni, solo che Rocky borbottò qualcosa a proposito della sua avversione all’acqua e al fatto che avrebbe fatto un bel discorso ad Aerik, che per ragioni assurde lo stava costringendo a calarsi negli abissi.  

La mattina seguente, salutarono l‘amico e tornarono all’Istituto per recitare la messa in scena ordita da Aerik. Dissero che la RCS Leannah li avrebbe seguiti per eventuali rifornimenti e nessuno fece troppe domande. Per fortuna, la loro reputazione valeva ancora qualcosa. 

—Per me, Aerik su quell’isolotto si è cotto il cervello e strapazzato la ragione…— si lagnò Rocky. 

—Credo fosse così anche prima…— disse Artù, lanciando un’occhiata di intesa all’amico, insieme ad un sorrisetto divertito —Intanto, in un modo o nell’altro, il Tuna Catcher I va recuperato. Tanto vale che lo facciamo noi. Cerca di metterti nei suoi panni, deve essere stato traumatico laggiù, da solo…— mediò Artù.

—Aaaaah, come sempre: hai ragione!—

Atterrarono sull’isola ed Aerik cominciò a trasferire, con l’aiuto dell’equipaggio, le sue cose sulla Leannah, ormeggiata non distante. 

I tre esploratori partirono alla scoperta del fondale del Mar dei Caraibi, a bordo del Tuna Catcher II.

—Wow, sarà fenomenale!— si lasciò sfuggire, sull’onda di un entusiasmo incontenibile, Aiden.

—Una meraviglia sicuro per la scienza, ma prega che resteremo all’asciutto!— specificò Rocky.

Aerik aveva indicato le coordinate di un luogo, a circa 1600 metri di profondità. Lì, la dorsale oceanica aveva creato un anfratto in cui la discesa del Silver Tuna si era arrestata e dove Aerik aveva —appoggiato— anche il Tuna Catcher in panne. 

—Aiden, avremo abbastanza aria per le uscite?—

—Certo, ma solo se ogni uscita non durerà più di mezz’ora. Per aiutarvi, ho messo a punto uno scivolo, perfettamente ermetico, che dalla stiva del Tuna Catcher I passerà alla stiva del Tuna Catcher II. Questo favorirà il trasferimento, almeno non dovrete uscire in acqua spesso—

—Ci mancava solo!— aggiunse Rocky, visibilmente contrariato. 

—Dai, consolati amico: Aerik non se la passerà poi così bene là sopra. Hai visto cosa segnava il barometro? Si prevede pioggia!—

—Beh, almeno stavolta la tempesta non cercherà di farci fuori, vero Aiden?— chiese Rocky.

—Già! Meglio sotto che sopra, no?— rispose, ma non ebbe ritorno. 

Il panorama iniziava a diventare quasi surreale, per dei gatti abituati alla superficie (che poi, quale gatto avrebbe mai potuto essere abituato alle profondità marine?), e progressivamente la luce filtrava sempre meno ed il buio aumentava. Mentre raggiungevano la profondità designata da Aerik,  Artù si chiese perché il loro amico non avesse potuto semplicemente far espellere l’acqua dai cassoni per tornare a galla solo con l’azione di galleggiamento. Aiden gli precisò che, per come era costruito, anche quell’operazione sarebbe risultata impossibile a causa della mancata accensione dei sistemi. Inoltre, il peso accumulato lo aveva sicuramente fatto incagliare in una sporgenza del fondale. 

Anche i pesci andavano via via scomparendo o facendosi più stravaganti, a mano a mano che si avvicinavano al fondo. Accesero presto anche l’illuminazione esterna, per aprirsi un varco nell’oscurità.

Accanto al vetro di un oblò passò un pesce con una dentatura spaventosa e una protuberanza sulla fronte, che terminava in quella che sembrava una piccola lanterna luminosa. Aiden ebbe un sussulto e si scostò in un baleno. 

—Dovrai abituarti… qua sotto esistono creature dall’aspetto a dir poco inconsueto, tanto da sembrare uscite da qualche favola medievale…— lo tranquillizzo Artù. —Chissà quante ce ne saranno che non sono state ancora scoperte, protette da questa oscurità che le nasconde a chi non le potrebbe capire…—

—Se sei fortunato, potrai catalogarne una tu, eh, Aiden?— si divertì Rocky.

—Non ci terrei molto, grazie. Se sono tutte minacciose come quella là fuori!—

—Profondità 1543 m— annunciò serio Artù —accendiamo tutti i fari, in modo da rischiarare l’area maggiore possibile e muoverci in sicurezza—

Quando l’operazione fu terminata, il Tuna Catcher II si spostava in un ambiente che aveva poco da invidiare alla superficie in quanto a luminosità.

—Ottimo lavoro con le lampade, Aiden!— si complimentò Rocky.

—A disposizione!—

—Dobbiamo muoverci in direzione ovest, secondo le indicazioni di Aerik—

Il sommergibile scorreva lento, anche a causa della pressione presente a quelle profondità, ma quello bastò comunque a turbare la quiete di alcuni abitanti del posto, che non videro certo di buon occhio quell’incursione e cominciarono a girare intorno al Tuna Catcher II in maniera ostile. 

—Che cosa sono queste fasce fluttuanti?— chiese Aiden.

—Ah, niente Aiden, non ti impressionare. Sono solo murene—

—A queste profondità, Rocky?—

—A quanto pare… non sono un biologo, Aiden. Potrai esprimere le tue perplessità a Nereus—

—Chi?—

—Non lo conosci?— cercò di rimanere calmo Artù, mentre arrischiava una virata brusca per tentare di schivare le murene. —Nereus Flowsand, il massimo esperto di biologia marina della Royal Crowder Society—

Nel frattempo, le murene erano diventate così tante, da non lasciare quasi porzioni libere sulle finestrature del Tuna Catcher II.

—Questo non è normale…— se ne uscì Rocky.

Nessuno poté rispondere, perché una scarica elettrica colpì il vetro.

—No, decisamente non lo è!— confermò Artù.

—Ma cosa diamine sono?— Aiden stava facendosi prendere dal panico.

—Murene elettriche, Aiden!—

—Cosa le attira qui?—

—Non saprei, probabilmente la luce, o forse percepiscono la forte presenza di elettricità emanata dalle lampade o…—

—O forse non ci vogliono qui!— avvertì Artù, mentre una scarica più forte colpì il sommergibile.

—Questo coso resisterà, Aiden?—

—Dovrebbe. Lo scafo sì, almeno…—

—Lo scafo… perché, cos’altro potrebbe cedere…?— volle sapere Rocky.

Le murene, all’unisono, scaricarono sul loro sottomarino una quantità di energia elettrica tale da mandare in sovraccarico le lampade, che si spensero. In un secondo, tutto ripiombò nella più completa oscurità.

Le murene si dileguarono, come se avessero repentinamente perso interesse. 

—Ecco, fantastico! Ora che si fa?—

Aiden realizzò un rapido controllo di tutta la strumentazione di bordo.

—È tutto funzionante, hanno solo messo fuori uso le lampade esterne. Ci resta quella di emergenza—

La notizia era buona, ma la sua potenza non era lontanamente paragonabile a quella delle altre lampade.

—Magari proteggono il tesoro…— buttò lì Rocky.

—Non sarebbe poi così tanto astruso come ragionamento…— concordò Artù, memore di certe stranezze viste nelle precedenti avventure. 

Purtroppo, la visibilità era scarsa, a tratti persino insufficiente, per spostarsi in quelle zone irte di sporgenze rocciose. Un tonfo sonoro ruppe il silenzio.

—Che è stato?—

—Abbiamo urtato qualcosa! Speriamo non ci sia una falla!— strillò Aiden.

—Ma non era impenetrabile lo scafo?— domandò Rocky.

—Non stiamo a litigare ora! Corriamo a vedere cos’è! Aiden, resta al comando!—

—Il rumore proviene dalla stiva!— comunicò Aiden —Mettete le tute con l’ossigeno, per precauzione!—

Pochi minuti e si trovavano già sul luogo indicato.

—Eccolo là, Rocky: dall’oblò! È una roccia?—

—C’è qualcosa che sembra un pezzo di roccia, accidenti!—

—No, non è roccia: è qualcosa di vivo!—

—È un’idea assurda!—

—Quale essere potrebbe mai voler vivere qui e così grosso, per giunta!—

—Oltre alle murene, dici?— lo canzonò Artù —Andiamo più vicino—

—Te lo scordi!—

—Dobbiamo pur capire con cosa abbiamo a che fare…!—

—Ragazzi!— si sentirono chiamare nelle cuffie  che avevano per le comunicazioni.

—Aiden, non è il momento…—

—No, credetemi: è proprio il momento perfetto…—

—C’è qualcosa di vivo e dobbiamo capire che cosa sia. Per favore, richiama dopo!—

—Eh, io lo so cos’è! Lo vedo dal vetro frontale: è una piovra gigante!—

I due gatti si spostarono dall’oblò, balzando all’indietro.

—Ma che diamine vuole?!—

—E cosa vuoi che ne sappia, Rocky!—

—Ha agguantato tutto… sta appiccicata tutto intorno!—

—Allora quella che è attaccata all’oblò è… una ventosa!— dedusse Artù —E’ enorme!—

—Degna di tutto il resto a cui appartiene!—

—Ma che ha intenzione di fare…?—

All’improvviso, la ventosa scomparì dall’oblò, lasciando libera la visuale, per poi schiantarvisi bruscamente sopra un’altra volta. 

—Che fa?—

—Vado a vedere!— Artù si riapprossimò al vetro e constatò, alla flebile luce disponibile, che la piovra attaccava a staccava ripetutamente il tentacolo allo scafo.

—Vuole aprirci come un’ostrica!—

—Crederà che lo siamo, la nostra forma è pressappoco la stessa—

—Non voglio certo diventare la sua cena!—

—Aiden: a quale sforzo può reggere il sottomarino?—

—Non è progettato per resistere a forze aggiuntive oltre a quella dell’acqua. Occorrerebbe capire la forza massima esercitabile dalla piovra in queste condizioni…—

—Certo Aiden… è proprio il momento per giocare con la fisica!— spiegò sarcastico Rocky. 

Un altro colpo fece sussultare tutto il sottomarino ed io suoi occupanti si trovarono sbalzati sul pavimento. 

—Si concentra sul portellone della stiva, deve aver capito che è il punto debole—

— Il portellone può resistere al massimo a… beh, al momento mi sfugge, scusate! Comunque, è certo che se la forza della piovra dovesse eccedere questo valore, dovremmo cominciare ad ancorarlo dall’interno con dei pesi o qualcosa di simile…—

—Aiden: almeno dicci dove possiamo trovare più informazioni su questo sottomarino, io disegni o qualcosa di simile! Dobbiamo avere un’idea delle dimensioni del portello!— lo incalzò Artù.

—Ah, certo, sì: dovrebbe esserci il manuale, da qualche parte nella stiva… c’è un baule metallico, dovrebbe saltare all’occhio perché è arancione—

Rocky ed Artù si guardarono attorno, cercando di dissimulare la pressione che quella situazione stava creando.

—Eccolo!— esclamò Artù, che lo aprì e buttò all’aria tutto il suo contenuto, mancando anche l’orecchio di Rocky per un soffio, quando tirò all’indietro una chiave inglese.

—Ho rischiato quasi di perdere l’orecchio…— si lasciò sfuggire.

—Perderai ben altro, se non ci sbrighiamo a trovare quel manuale!—

Artù dovette rovistare ancora un po’, ma infine riuscì a raccogliere dal fondo del baule un tomo sgualcito e con le pagine strappate.

—Andiamo bene…— disse Rocky, guardandolo —Speriamo che almeno il capitolo che ci interessa ci sia—

Artù cercò tra le pagine e trovò il disegno del sottomarino: aveva una grossa macchia di caffè su un angolo, ma fortunatamente non era intaccata la sezione del portellone. 

—Perfetto! Il portellone misura 75 cm x 75 cm!—

Artù appoggiò sul coperchio della cassa il manuale, perché stava già cominciando a calcolare. Rocky non si lasciò sfuggire una sezione interessante: —Artù: ma guarda che stranezza! C’è la sezione —Krakken a altri mostri marini—.

—Dai, Rocky, non è il momento di scherzare…—

—Mica scherzo! Guarda qui!— disse indicandogli con la zampa la pagina, in cui spiccava tra tutti il titolo —Krakken— sotto alla quale campeggiava un minaccioso ottopode che avviluppava un sottomarino.

—Sembriamo proprio noi adesso…—

—Mai avrei immaginato che potesse esistere una cosa del genere…—

—Sarà scontato dirlo, ma non si finisce mai di imparare…—

La sezione —Krakken— del manuale suggeriva di misurare la dimensione delle ventose del proprio mostro marino, proponendo poi un grafico in cui veniva presentata la forza media del krakken in funzione della grandezza delle ventose. 

Artù attese che il tentacolo della piovra si riattaccasse al vetro dell’oblò, per misurare le ventose. 

—Mi sembra che siamo sui 3 cm di diametro, Rocky!—

—Complimenti! Sarebbe interessante capire quanto è lungo tutto il kraken là fuori…—

Artù gli scoccò un’occhiata gelida. 

—D’accordo, d’accordo. Si faceva per dire!— si difese Rocky —Direi che la differenza di pressione creata dalle ventose sia di circa… qui dice… mi sembra 800 kPa—

Artù prese febbrilmente a scrivere sul taccuino, mentre da fuori la piovra gigante continuava a buttare i tentacoli contro lo scafo.

—Abbiamo detto che il portellone ha dimensione 75 cm x 75 cm… la sua area, quindi è:

Area portellone = (75/100) m x (75/100) m = 0,5625 m^2

La piovra occuperà con i tentacoli almeno l’80% di questa superficie, sulla quale agisce la sua forza. Mentre, sulla restante parte, agisce la forza dell’acqua.

 F krakken = (Dp krakken teorica manuale) x (80% A portellone) = 

              = 800 kPa x 0,45 m = 

              = 360000 N = 360 kN

acqua = p acqua  x (20% A portellone) = 

acqua = racqua mare  x g x h(profondità immersione) =   

—Che cosa c’è Artù?— domandò Rocky, notando che l’amico si era bloccato.

—Quale è il valore della densità dell’acqua salata a queste temperature e profondità?—

—Guardo sul manuale…ecco! Considerando che ci troviamo a 1543 m sotto il livello del mare… qui dice 1025  kg/m3!—

—Grazie , Rocky!—

   p acqua = 1025 kg/m3 x 9,81 m/s2 x 1543 m = 

             = 15515250,75 Pa

   F acqua =  15515250,75 Pa x 0,1125 m2 =

             = 1745465,71 N = 1745,47 kN

—Wow! Possiamo stare al sicuro, non vincerà mai la resistenza dell’acqua. Quindi il portellone rimarrà chiuso—

—Sì, siamo una squadra formidabile!—

—Comunque, non possiamo restare in balia di questo ottopode ancora a lungo! Danneggerà i sistemi e resteremo bloccati qua! Tra l’altro, vi devo ricordare che la navicella eiettabile ha posto solo per due persone…—

—E questo quando ce lo volevi comunicare… Aiden!—

—Non temete, c’è aria sufficiente e mi tornerete a prendere…—

—Basta parlare come se fosse finita!— li scosse Artù —Pensate piuttosto a come liberarci da questo ospite non molto educato!—

Rocky guardò l’amico ed ebbe un’idea: —Abbiamo la tuta… ed ossigeno sufficiente. Credo che veramente ci abbia scambiato per un’ostrica e voglia mangiarci!—

—Non ti seguo…—

—Dobbiamo dargli da mangiare!—

—Vuoi che usciamo per farci ingoiare? Sei matto?—

—No! Nemmeno per sogno! Abbiamo le provviste… apriamo tutto quello che possiamo, usciamo e attiriamolo lontano. Mentre sarà impegnato, noi ritorneremo al Tuna Catcher II e ci sposteremo—

—Grande trovata, Rocky! Aiden, eri in ascolto? Non perderci di vista…—

—Utilizzate il cavo!—

Questo cavo permetteva di mantenere un contatto con il Tuna Catcher  II, che avrebbe potuto tirarli indietro in caso di pericolo. Rocky ed Artù aprirono tutte le scatolette che costituivano la scorta di emergenza del sottomarino e le svuotarono in un recipiente richiudibile, resistente alla pressione. 

—Pronto?— chiese Rocky, guardando Artù negli occhi, protetti dal vetro del casco da palombaro. 

—Sempre!—

Aiden aprì il portellone della camera di decompressione, dal lato opposto a quello considerato interessante dalla piovra ed i due mici scivolarono fuori. 

—Freddino, eh?—

—Già, sbrighiamoci!—

Una volta raggiunta una distanza di sicurezza dal sottomarino, attirarono quel cefalopode colpendo il contenitore e generando rumore. L’attenzione della piovra non tardò ad essere catturata.

—Bene, ci ha visti! Svita il tappo e svigniamocela!—

Nell’acqua, si liberò un’ingente quantità di pezzettini di tonno con relativa salsetta di accompagnamento, che catalizzò immediatamente tutto l’olfatto di quella specie di calamaro troppo cresciuto. Si diresse velocemente verso di loro, gonfiando ritmicamente la zona sottostante alla testa e parte dei tentacoli, assomigliando a tratti ad una mongolfiera. 

—Ma come si muove?—

—Ha fretta, meglio che torniamo alla base. Con tutto rispetto, non vorrei fargli da contorno!— intimò Artù.

Per tutta risposta, sputò un’ingente quantità di inchiostro sul Tuna Catcher II, indispettito per non aver potuto —aprirlo—. 

Tornati finalmente a bordo, i due esploratori poterono tirare un sospiro di sollievo.

—È andata…!—

—Già!—

—Contento per voi, ma adesso dovreste uscire nuovamente a pulire i vetri: quel signorino ci ha lasciato un ricordino!— intervenne Aiden.

Questa manovra fu portata a termine solo dopo aver accertato che nessuno girasse più attorno al sottomarino.

Una volta ripresa regolarmente la marcia, non tardarono ad approcciare il relitto ed il Tuna Catcher I.

—Wow…! Esiste…— disse Aiden, mentre ciò che rimaneva del Silver Tuna si palesò ai suoi occhi.

—È imponente, nonostante le condizioni attuali—

—Senza dubbio, è un momento toccante—

I contrattempi li avevano costretti ad una permanenza che stava eccedendo quanto previsto dalla tabella di marcia. 

—Dobbiamo procedere. Preparatevi ad uscire e ad entrare nel Tuna Catcher I. Dall’esterno basta inserire questa chiave nel portellone della camera di decompressione e tirare la leva verso sinistra. Ovviamente, l’acqua entrerà subito, dovrete fare in fretta per non saturare l’ambiente—

—Senza contare che dovremo avere la forza di aprirlo… contrastare tutta quella pressione non sarà facile—

—Previsto. La chiave azionerà un pistone che faciliterà l’apertura… però, ricordate che avete solo un tentativo…—

—Ah, ci siamo abituati— Dacci la chiave—

—Se mi bagno anche solo un pelo, Aerik mi sentirà— sentenziò Rocky.

Artù soffocò una risata. 

Tutto filò liscio ed in breve raggiunsero la stiva.

—Non ha lasciato nemmeno lo spazio per respirare!— protestò Rocky. 

—Proviamo ad inserirci. Dobbiamo raggiungere la zona di accoglienza del tubo dello scivolo ed azionare il sistema ermetico, nonché agganciarlo quando toccherà la parete—

—Una passeggiata!—

Il tubo consentì, effettivamente, un’agevole trasbordo di parte del tesoro.

—Ci credi che abbiamo per le zampe il leggendario tesoro di William Whiskers?—

—Sinceramente, ancora no, Rocky—

—Io una me la mangerei volentieri…—

—Ma che dici?!? Ti prenderai un mal di pancia colossale! È avariato da almeno 200 anni!—

—Guastafeste!—

Trascorsero così circa un’ora, approfittando di una scorta di aria extra, trovata dietro ad una pila di tonnetti del tesoro.

—Aiden, finito!—

—Ritiro il tubo, allora. Sistemate tutto e recatevi nella sala dei comandi. Vi darò le istruzioni per rimettere tutto in moto, così ritorneremo in superficie!—

—Abbiamo abbastanza aria nella tuta?—

—Dovreste farcela… intanto, una volta azionato tutto, dovrebbe riprendere normalmente anche la generazione dell’aria. Quindi, non avrete più bisogno della tuta— 

Aiden fornì tutte le istruzioni necessarie e non perse un secondo la comunicazione. 

Quanto ad Aerik, era sul ponte della RCS Leannah, in trepidante attesa. La vista delle increspature  e delle bolle sul pelo dell’acqua lo mandò in brodo di giuggiole.

—Ce l’hanno fatta!— esclamò.

Il primo che uscì fu Rocky, che gridò ad Aerik che la prossima volta l’avrebbe offerto in pasto al kraken, se avesse combinato un pasticcio simile. 

La RCS Leannah rimase ancorata lì il tempo sufficiente ad imbarcare il tesoro, opportunamente imballato in anonime casse di legno.

—Badate di lasciare posto per il The Cat Path, li ammonì Rocky.

—Signorsì!—

—Se ci pensate— se ne uscì Aerik, prima di prendere nuovamente a pilotare il Tuna Catcher I per ritornare all’istituto —era quasi romantico…—

—Cosa?—

—Il fatto che tutto il tesoro fosse custodito nella pancia del mio sottomarino, come se fosse stato sigillato in un’enorme cassaforte per essere protetto e conservato per l’eternità dei giorni a venire…—

—Aerik, non farci pentire di averti salvato e di aver riportato a galla tutte quelle scatolette…— scherzò Artù.

Aiden, imitò Aerik e riportò il Tuna Catcher II a Tortuga, mentre la RCS Leannah salpava alla volta della Scozia. 

Rocky ed Artù, raggianti per aver salvato un amico e contribuito a rinvenire un tesoro leggendario, decollarono con il The Cat Path alla volta di Tortuga. 

Sulla via, non poterono esimersi dal sorvolare l’isoletta che aveva accolto Aerik, l’intrepido norvegese che aveva mantenuto una parola d’onore data quasi 250 anni prima, in segno di gratitudine.

Da quella spiaggia, un luccichio splendente li salutò: era una scatoletta di tonnetto del tesoro di William Whiskers che brillava, accarezzata dai tiepidi raggi del sole di Tortuga al tramonto. 

Artù era pienamente convinto che l’avesse lasciata Aerik, come a voler ribadire che lo spirito di William Whiskers solcò davvero quello e molti altri mari, e lo avrebbe ancora fatto la sua anima, nei secoli a venire ad imperitura memoria, sempre… ALL’AVVENTUNA!

FINE

Attenzione:

Le storie ed i personaggi raccontati sono frutto della creatività del Team di AstroArtù.studio, ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistenti/esistite è puramente casuale. Copyright (C) astroartu.studio.