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Royal Clowder  Society of Caithness

A nord della Scozia, dove le Highlands si protendono per sfiorare le Isole Shetland, si incontra la Contea di Caithness, antica dimora di una tribù di Pitti, i Catti, da cui prende il nome.

Al confine con la Contea di Sutherland, si stagliano gli ultimi rilievi, i quali precedono la vasta distesa pianeggiante che accompagna dolcemente al mare.

Qui, il monte Morven ed i suoi vicini formano quella che dall’alto appare proprio come la sagoma dell’impronta di un gatto. Ed è proprio tra queste alture che si dice si nasconda un vecchio castello abbandonato, non indicato su alcuna mappa. Poiché si sa che ogni leggenda porta con sé un fondo di verità, non vi stupirà certo sapere che questo castello esiste eccome ed è la sede della più rinomata accademia di studi storico-scientifici del mondo felino: la Royal Clowder  Society of Caithness. Il maniero è una struttura massiccia di pietre grigie, con quattro torri cilindriche a delimitarne i vertici, circondata da un ampio e profondo fossato, sempre colmo d’acqua, tanto da farlo sembrare quasi galleggiare sulla sua superficie, caratteristica che ha mantenuto ancora ad oggi.

La storia delle origini di questa istituzione è antica ed alquanto avventurosa, per questo mi dilungherò a raccontarvela.

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Si dice che a metà del XVI secolo fosse abitato da un nobile cinico, che governava le zone circostanti imponendo tasse altissime a seminando il terrore. Poiché in quell’epoca un po’ tutta l’Europa era attraversata dalla piaga dell’ignoranza, che lasciava dilagare la superstizione, tra cui quella dell’esistenza delle streghe, anche al signore di quei luoghi venne in mente di iniziare questa caccia insensata ed inutile. Nessuna donna dei villaggi circostanti poteva dirsi al sicuro. Ormai, pochi abitanti erano rimasti nella zona: i più erano partiti per cercare fortuna altrove e persino il castello si era svuotato, lasciando solo il crudele despota e una manciata di uomini, che rimanevano più per paura, che per lealtà.

Viveva, proprio ai piedi del monte Morven, una donna che condivideva la sua modesta capanna con i suoi animali. Accanto a lei, sempre il fedelissimo gatto Alisander, che si racconta essere nato libero nella foresta ed aver spontaneamente scelto di seguire Leannah, l’umana che di tanto in tanto si recava nel profondo del bosco per raccogliere le erbe medicamentose.  Quell’imponente gatto grigio tigrato aveva capito subito che erano destinati a fare grandi cose insieme. Ed era la verità.

Leannah era la curatrice sia degli umani, che degli animali e non vi era giorno in cui alla sua porta non bussasse almeno un avventore in cerca di aiuto, che mai veniva negato.

Alisander era il suo tramite con i pazienti pelosi o piumati. 

Ovviamente, queste abilità non potevano passare sotto silenzio e la voce delle loro azioni raggiunse anche l’ostinato governatore. Leannah venne catturata e condannata ad essere rinchiusa nelle segrete del castello per stregoneria.

Alisander corse per giorni, instancabilmente, più veloce del vento, per stare dietro ai cavalli della carrozza che la stava portando via: se le sue forze gliela facevano perdere di vista, allora correva anche di notte e ad ogni sosta, stando sempre attento a non essere visto, faceva compagnia alla sua amica, anche se potevano sfiorarsi solo attraverso le strette grate dell’unica apertura di quella specie di carro. Per quanto gli era possibile, cercava anche di portarle cibo e acqua.

Provò più volte a liberarla, ma era impossibile per un gatto, soprattutto perché quella strana struttura non sembrava avere serrature visibili da scassinare ed il legno delle sbarre della finestrella era troppo spesso per Alisander e per le sue zampe, già gravemente provate dalle incessanti corse.

Quasi ebbe un mancamento quando vide che la introducevano nel castello.

“Nooo!” gridò e per quell’attimo solo nella sua vita ebbe davvero paura di perderla. 

Si riscosse immediatamente ed escogitò un piano per liberarla. Attese pazientemente il calare della notte per intrufolarsi all’interno delle mura. Purtroppo, il ponte levatoio era alzato. Gli restava solo una cosa da fare, non aveva scelta. Si tuffò e prese a nuotare, mettendoci tutto il suo spirito, nonostante non l’avesse mai fatto prima di allora, nonostante fosse un gatto. Raggiunse le mura, ma le pietre erano viscide e senza appigli. Dovette nuotare ancora, alla ricerca di qualcosa che gli permettesse di penetrare in quella fortezza. Le energie lo stavano abbandonando, lentamente, così che non si accorse che stava sprofondando sempre di più nell’acqua. Sarebbe successo il peggio, se i suoi baffi non si fossero incastrati in qualcosa che galleggiava pigramente sulla superficie. 

Il dolore lo riportò alla realtà: si districò e notò con sollievo che quel groviglio era in effetti la propaggine di una pianta rampicante che stava devastando tutta la facciata nord-ovest del castello. Si aggrappò e lo risalì con attenzione, anche se non fu per niente agevole. Per tre volte ricadde in acqua con un tonfo, rischiando di essere scoperto. Capì che doveva usarlo solo per darsi la spinta, la scalata era impossibile per il suo peso, che non riusciva ad essere sostenuto dalla precarietà degli intrecci di quell’edera.

Così, arrivato ad una certa altezza, cominciò a dondolare producendo archi sempre più larghi. Quando questi gli permisero di arrivare in prossimità di una feritoia, si lasciò andare. Gli artigli stridettero sulla pietra, scivolando fino a quando  Alisander non riuscì a puntarsi anche con le zampe posteriori. Ignorò il sangue che gli impregnava i cuscinetti e con uno scatto fulmineo si precipitò all’interno, oltrepassando la stretta fessura. Il castello era deserto, anche se su qualche fiaccola danzava ancora una flebile fiammella.

L’odore di Leannah era inconfondibile per Alisander: rosmarino misto al profumo delle sue amate rose bianche. Adorava raggomitolarsi sulle sue gambe davanti al camino, mentre lei leggeva o sistemava le erbe per i suoi medicamenti. Ma non era quello il momento di indugiare nei ricordi. Ne seguì la traccia fino a raggiungere zone sempre più buie ed umide. “Le segrete” pensò “maledetti, vi farò vedere io! Lo giuro sul mio onore di gatto delle foreste!”

Finite le scale a chiocciola, si trovò in un corridoio angusto e oscuro. Si udiva solo il gocciolio dell’umidità, che condensava sul soffitto e ricadeva sul pavimento, e un respiro triste. 

“Leannah!” miagolò, precipitandosi verso di lei.

“Alisander!”

Leannah non credeva ai suoi occhi: il suo amico l’aveva ritrovata. Alisander si sporse attraverso le sbarre della cella e la donna cercò di rimettersi in piedi per accarezzarlo. Purtroppo, potè solo lambirgli il naso con la punta delle dita: una catena la ancorava al muro e le impediva di avvicinarsi troppo. Alisander le fece capire che voleva liberarla e lei gli spiegò come fare. Il guardiano teneva le chiavi dietro una falsa pietra del muro, proprio all’inizio di quel tetro sotterraneo, anche se non si ricordava quale fosse. Alisander non si perse d’animo e cominciò a grattare con le unghie ogni singolo bordo delle pietre, anche arrampicandosi sul muro. Mentre si trovava ad un’altezza considerevole da terra, precipitò. Un tonfo sordo, la pietra, o meglio: la falsa pietra, era caduta, ed il gatto con lei.  L’aveva trovata. Si acquattò nell’oscurità, temendo di aver attirato l’attenzione di qualcuno, ma non venne nessuno. Saltò nuovamente ed acciuffò il mazzo di chiavi.

Memore del passo falso di poco prima, tentò di ricadere producendo il minimo rumore possibile, tenendo le chiavi ben schiacciate tra il muso ed il petto.

Corse da Leannah. 

“Ecco, adesso è difficile” gli sussurrò “io non posso muovermi e le sbarre sono troppo ristrette perché tu possa entrare o perché possa passare quell’enorme mazzo di chiavi. Devi estrarle dall’anello che le tiene insieme e tirarmene una alla volta. Quando troverò quella che apre il lucchetto della catena che ho al piede, allora verrò ad aprire la porta. Ce la puoi fare, Alisander?”

Il gatto assunse un’espressione quasi arrogante, come a dire: “Pfuff! Ma certo umana che ce la faccio!”.

In realtà, non andò così liscia ed Alisander occupò gran parte della notte a trovare uno stratagemma per liberare le chiavi. Alcuni tramandano che scaldò con una fiaccola la zona in cui l’anello veniva aperto dagli umani, così da rendere più malleabile il metallo e deformare la chiusura per aprirla meglio, altri che lo spezzò con la sola forza delle sue zampe e altri ancora che lo vinse a morsi. Sta di fatto che riuscì nel suo intento e Leannah si liberò, prima dalle catene e poi dalla cella. Alisander le fece strada: sfortunatamente, l’unica via d’uscita adatta al passaggio di un umano era il ponte levatoio, ma sarebbe stato troppo visibile: li avrebbero catturati entrambi, senza che nessuno potesse più avere speranza di evadere.

Frugarono ogni angolo delle segrete e trovarono una botola che sbucava sull’acqua.

Si guardarono con un gesto d’intesa: Alisander avrebbe ripercorso al contrario i passi che lo avevano condotto da lei, mentre Leannah avrebbe nuotato sott’acqua, fino ad uscire molto presumibilmente nel fossato. Quel piano aveva una sola possibile conclusione, la riuscita, e quella botola doveva per forza avere uno sbocco sul fossato, altrimenti a Leannah sarebbe capitato il peggio. Alisander indugiò, ma il tempo era agli sgoccioli. Doveva fidarsi della sua umana, punto e basta. Ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela, perché loro due dovevano tornare insieme alla capanna. Il gatto fu il primo a raggiungere la riva e temette per instanti interminabili di non vederla riemergere. Fissava la superficie dell’acqua, ma nessuna increspatura rompeva quella calma spettrale. Fu l’unica volta nella sua vita in cui si concesse di cedere, ma, anche se le lacrime che gli velavano gli occhi gliela mostravano ondulata, avrebbe riconosciuto quella sagoma ovunque.

Leannah. Aveva trovato un’altra via ed era uscita dall’acqua dal lato sud. Alisander le corse incontro così velocemente, che le lacrime gli volarono via dagli occhi per andare a mischiarsi con le acque del fossato. 

Si abbracciarono.

“Alisander, grazie! Se non fosse stato per te… io…”

Il gatto le fece cenno di seguirlo nella foresta, il sole stava quasi per sorgere.

Quando ritennero di essersi inoltrati a sufficienza, si fermarono a bere in un ruscello. Alisander era felice, ma sospettoso. Leannah gli fece una confessione:  “Queste parole, mio caro, buono, forte se dolce Alisander, vengono direttamente dal profondo del cuore. Credo che tu abbia già capito, non mi dilungherò oltre. Non possiamo riprendere le nostra vita, ci troverebbero e questa volta nessuno di noi due sarebbe più in grado di salvare l’altro. Dobbiamo fuggire il più lontano possibile, al più presto. Dimmi che ne pensi…” e gli porse un biscottino, con la vaga forma di un pesce. 

“Non saprei, è difficile… un momento: ma io sto parlando la tua lingua?! Come può essere possibile?”

“Oh, Alisander” disse Leannah, sorridendogli ed accarezzandogli amabilmente il muso ”confido che tu sappia che la magia non esiste… ma può capitare che, se due cuori sono talmente uniti come i nostri, le anime si tocchino e si spezzino i confini a cui siamo abituati nel mondo comune. C’è tanto, Alisander, che si può conoscere dal mondo e c’è troppo che non sarà comprensibile che a pochi dalla mente aperta e dal cuore puro, che avranno l’umiltà di ascoltare prima di parlare, di osservare prima di giudicare. Sciaguratamente, il cammino di questi uomini sarà sempre ostacolato da gente come il governatore ed i suoi scagnozzi. Se non fosse stato per te…”

“Cosa…?” le domandò timidamente.

“Le cosiddette streghe vengono sottoposte a torture indicibili che, spesso, si concludono con il peggiore dei destini. Solo perché sono donne che ne sanno più degli uomini, o che sanno cose che loro non comprendono”.

Alisander era indignato: “E’ terribile!”

“E c’è di più…” riprese Leannah “i gatti neri… anche loro…”

“Non dire altro!” la interruppe Alisander “Quei loschi individui smetteranno domani stesso di perpetrare  queste ingiustizie!”

“E come vorresti…”

“Ho un piano. Chiamerò a raccolta gli altri gatti, spiegherò loro a cosa può arrivare l’ignoranza umana”

“Alisander, noi dobbiamo partire, non c’è tempo…”

Il gatto guardò l’orizzonte alle spalle della sua umana: “Io non verrò, Leannah. Hai il mio cuore, ma la mia missione qui nelle Highlands non è ancora finita: devo sconfiggere la superstizione, devo portare la luce della conoscenza, devo salvare delle vite”.

“Ti aiuterò!”

“Te lo impedirò! Devi metterti in salvo”

“Ma noi siamo una squadra, non voglio perderti, Alisander”

“No, nessuno di noi perderà l’altro: potrai tornare, Leannah. Fra qualche anno tornerai e vivremo entrambi nel castello, che sarà il più bello dell’intera Scozia. Non più sede di governatori ingiusti, ma dimora della conoscenza. Sarà un ritrovo di gatti sapienti, di divulgazione delle scienze e…”

“E avrà tante rose, vero?”

“Sì, quante ne vorrai tu… adesso va, ma giura che al più tra due inverni tornerai”

Il patto della zampa suggellò quell’accordo.

Il giorno stesso, Leannah liberò tutti i suoi animali alla capanna e raccolse le sue cose per recarsi verso la costa, per salpare con la prima nave alla volta delle Shetland.

Alisander radunò tutti i gatti più saggi del luogo e tese una trappola al malvagio governatore e ai suoi soldati. Li attirò in una grotta ai margini della foresta e da lì non tornarono più. C’è chi dice che siano caduti in un burrone profondo mille metri, altri che raccontano che siano stati sbranati da un drago. Le leggende, si sa, sono teli che si colorano sempre di ricami arzigogolati che, talvolta, mascherano o ingigantiscono la realtà; tuttavia, quel che è certo è che da quel giorno Alisander divenne il gatto condottiero che salvava vite e diffondeva la scienza. Nessuno seppe mai il suo vero nome: lo chiamavano “Iron Paw”, zampa d’acciaio, o con il suo corrispettivo gaelico “Spòg Iarran”, appellativo che passò al castello. Il suo emblema: un gatto tigrato grigio rampante sopra una rosa bianca, su fondo rosso. Un cavaliere, insomma, saggio e benevolo, che lasciò in eredità per secoli e secoli una istituzione di studi scientifici alla comunità felina, dapprima della sola Scozia, poi di tutto il mondo.

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Ed è per questo che il castello, ad oggi, non è sulle mappe: tutti i membri di quella che si è chiamata nel tempo la “Royal Clowder Society of Caithness” mantengono costante lo sforzo per non farla conoscere agli umani. Ovviamente, hanno messo in giro la voce che sia infestato di fantasmi e che le acque del fossato siano piene di Kelpie, i cavalli bianchi dallo spirito maligno, che si dice non lascino più andare chi vi monti in groppa. Anche se ogni anno istituiscono una votazione per abrogare questa pratica, in contrasto con gli intenti della società di abolizione della superstizione in favore delle dimostrazioni scientifiche, puntualmente finisce in parità. Prevale sempre il desiderio di preservare intatta la loro sede, dunque la leggenda si continua a diffondere. E ad alimentare, perché non passa estate che qualche gatto burlone non cali in acqua un marchingegno dalle fattezze di un Kelpie, che si manifesta agli sfortunati avventori, da qualche anno anche con un effetto sonoro che imita un nitrito agghiacciante, facendoli scappare a gambe levate.

Di Alisander resta solo lo stemma sul ponte levatoio ed il ritratto nell’androne. Uno di quelli da tramandare, con l’armatura e l’elmo, sfondo con la foresta, spada al fianco e tutti i dettagli del caso. Quello che, però, stava più a cuore ad Alisander è quello che ora è collocato nelle sue stanze private, ala del castello che non viene aperta se non in occasioni speciali. Vi sono raffigurati Leannah e Alisander, all’ombra di un arco di rose bianche, seduti sull’erba a leggere e a gioire della brezza primaverile.

Durante secoli di storia, la Royal Clowder Society si è fregiata di innumerevoli scoperte nei più svariati campi che spaziano dall’archeologia all’astronomia, dalla chimica all’ingegneria. 

Il nostro Professor Arthur Van è uno dei più rinomati membri, insieme al suo amico Professor Orangie Dorito Rockwood, ovvero Rocky. 

Al contrario di quello che potrete immaginare, la Royal Clowder Society non è un luogo di calma e silenzio. L’aria è sempre frizzante, carica di idee ed innovazioni, nonché di gioia per le nuove scoperte. Le questioni di cui si discute sono così care agli studiosi che, purtroppo, non è raro imbattersi in accalorate discussioni, passatemi l’eufemismo,  come quella volta in cui per due piramidi ci andò di mezzo… il tonnetto!

Iniziò tutto in una fredda mattinata d’inverno, in cui il castello e ciò che vi era intorno era avvolto da una coltre di neve bianca e soffice. La temperatura non invogliava certo le esplorazioni, pertanto, tutti i mici della Royal Clowder Society se ne stavano vicino ai caminetti accesi. Tutti tranne due, che iniziarono una grossa discussione. Quel giorno, il ruolo dei due contendenti fu preso da Sir Geordie Whitehorse, un semplice gatto grigio tigrato con nobili antenati ed appassionato fino al midollo delle civiltà pre-colombiane, e Monsieur Sable du Poisson, un gatto color sabbia, macchiato più che a strisce, che aveva l’Egitto Antico nel sangue, tanto da aver trascorso più tempo tra le piramidi che a casa sua, in Francia. 

“Ti dico che non è così, testone!” la voce profonda di Sir Geordie frantumò improvvisamente l’atmosfera ovattata di quel pomeriggio.

“Ma cosa ne vuoi sapere tu di misure, sei solo uno storico!” ribatté stizzito Monsieur Sable.

“E  a te la sabbia è entrata nel cervello, oltre che a tingerti il pelo! È ovvio che la Piramide del Sole di Teotihuacan è la più grande!”

“Anche fosse, non conterebbe né l’altezza, né qualsiasi altra dimensione: conta il volume! E ti posso assicurare che in entrambe i casi la piramide di Cheope a Giza la batte di gran lunga!”

“Mi mangio il cappello se è così!”

“Allora comincia pure a farcirlo!” lo sbeffeggiò Monsieur Sable.

Ovviamente, chiunque nel castello aveva udito quel chiasso, ma ognuno ce la stava mettendo tutta per non immischiarsi. Tutti sapevano che infilarsi in una discussione riguardante le esatte dimensioni di antichi monumenti sarebbe equivalso ad impastoiarsi nelle sabbie mobili, perché edifici di quel tipo sono soggetti a decadimento o a scoperte di nuovi livelli che ne variano le dimensioni, anche se molto spesso di quantità irrisorie. 

Nessuno dei due  voleva cedere ed il dibattito era in una fase di stallo. Dal momento che non poteva certo concludersi con un nulla di fatto, a Sir Geordie venne in mente di chiedere un terzo parere. 

“Ottimo, du Poisson. Sai che ti dico? Vado a chiamare il Professor Rockwood, il massimo esperto di culture pre-colombiane della nostra società”

“Ma fino a due minuti fa non eri tu che ti fregiavi di questo titolo?” lo canzonò l’avversario.

“Che c’entra? Serve un parere imparziale”

Il Professor Rockwood se ne stava beatamente a chiacchierare del più e del meno con il Professor Van quando fu chiamato.

“Ah, Professor Van, sono felice che sia venuto anche lei. Un parere in più non farà di certo male!” si congratulò du Poisson. 

Rocky si spaparanzò su una poltrona vicino alla finestra.

“Bene… quale sarebbe questa volta il dramma?” chiese.

“Non sia irrispettoso, Professore! È un tema scientifico di alto livello!” si seccò Sir Geordie.

Rocky guardò l’amico Arthur Van, storcendo il naso, come a voler significare un sarcastico: “Come no?”. 

“Dunque, per farla breve…” riprese Rocky.

“Certo, sarà breve perché ho ragione io!” sussurrò du Poisson rivolto verso un punto imprecisato della stanza.

“Cosa?”

“Niente, Sir Geordie, niente… se permette, vado a spiegare. In sintesi: quale delle due piramidi è più grande, ovvero più voluminosa, tra quella del Sole a Teotihuacan, in Messico, e quella di Cheope a Giza, in Egitto?”

Rocky tornò a sedersi scomposto, sporgendosi verso di loro con occhi spalancati: ”Voi due siete suonati!”.

“Signor Rockwood, moderi i toni!”

“No, lo ripeto: siete matti! Primo, credo sia più grande quella di Giza, ed il Professor Van potrà confermarlo; secondo, sapete benissimo che questo genere di diatribe è difficile da risolvere definitivamente, a meno che…”

“Esatto…”

“No, non se ne parla!” intervenne il Prof. Arthur Van.

“Volete, dunque, disattendere ad uno dei principi fondanti della nostra Società, ovvero la ricerca e la divulgazione della conoscenza contro le tenebre dell’ignoranza?” incalzò Sir Geordie. 

“Se fosse per la Società ed il bene della conoscenza, accetteremmo subito, ma è una…”

“Si tratta solo di una banale lite tra di voi” provò a mediare il Prof. Arthur Van “non vale la pena di investire tempo e risorse”.

I due litiganti tacquero un istante e du Poisson sembrava quasi convinto a piantarla lì, quando Sir Geordie saltò fuori con una proposta: “Allora io scommetto l’equivalente in scatolette di tonnetto dell’intero volume della piramide del Sole che è quest’ultima la piramide più grande!”

Arthur Van e Rocky si guardarono a bocca aperta, trattenendo a stento l’acquolina.

Du Poisson, stuzzicato nell’orgoglio, ribatté:” Dunque, preparati a darmi più scatolette di quante non ne esistano al mondo, perché io scommetto l’equivalente in tonnetti del volume della piramide di Cheope che è questa la più grande!”

Ormai era fatta: sapevano tutti che situazioni simili implicavano sempre una verifica sul campo. 

“Orbene, esimi professori, partite! Avrete una parte consistente della vincita e potrete portarvi tre assistenti tra gli ultimi arrivati. Su, che ci fate ancora qua? C’è tanto da organizzare!” li congedò Sir Geordie. 

I due studiosi in cinque minuti erano passati da un rilassante pomeriggio davanti al camino a preparare una missione in due continenti diversi.

“Ehi aspettate!” li bloccò Arthur Van “Dobbiamo stabilire dei criteri e formalizzare la scommessa, non voglio che al nostro ritorno possano esserci ancora dei nodi da sciogliere…”

Sia Sir Geordie, che Monsieur du Poisson dovettero ammettere che aveva ragione. Il documento che ne scaturì recitava così:

Sir Gerodie Whitehorse sostenendo che:

la Piramide del Sole di Teotihuacan (Messico) è più voluminosa della Piramide di Cheope a Giza (Egitto)

Monsieur Sable du Poisson sostenendo che:

la Piramide di Cheope a Giza (Egitto)  è più voluminosa della Piramide del Sole di Teotihuacan (Messico)

scommettono:

l’equivalente del volume della piramide che ritengono più grande in scatolette di tonnetto.

Il Professor Arthur Van ed il Professor Orangie Dorito Rockwood si impegnano a recarsi nei suddetti luoghi per misurare e verificare personalmente le effettive dimensioni di tali edifici. Si precisa che la scatoletta di tonnetto presa come riferimento è quella preferita dal Professor Arthur Van e che si tralascia l’ingombro interno delle pietre, valutando le misure prese sul lato esterno delle piramidi.

Firmato:

Sir Gerodie Whitehorse, Monsieur Sable du Poisson , 

Professor Arthur Van, Professor Orangie Dorito Rockwood

“Direi che così non potrà più esserci adito ad equivoci”

“Sperate che torniamo sani e salvi e cominciate a preparare i tonnetti…” precisò Rocky.

Seguirono giornate di fervidi preparativi. Sollecitarono i contatti che avevano in tutto il mondo lungo la tratta che avrebbero percorso, con l’aereo in dotazione alla società, per raggiungere le due destinazioni. Questo avrebbe assicurato loro carburante e provviste. Il difficile sembrava reclutare gli assistenti: nessuno dei nuovi membri voleva buttarsi in una missione sul campo. La risposta più comune era: “Ma io credevo che fosse un circolo di studi… teorici… niente spedizioni pericolose o su quell’aggeggio traballante…”

Rocky ed Artù erano ormai rassegnati ad andare da soli, quando un timido, giovane gatto gli si parò davanti:” Scusate… è qui che ci si candida per la spedizione?”

“Bè, a dire il vero non ci si candida, siamo noi che…ops!”

Arthur Van diede un colpo a Rocky per farlo tacere: “Certo, è qui. Come ti chiami?”
“Aiden Waterworth. Non ho nobili natali…”

“Che importa, ragazzo! Sono i nobili intenti che muovono il mondo!” lo spronò Rocky.

“In che cosa sei ferrato, Aiden?” chiese Arthur Van.

“Oh, ecco… al villaggio faccio il meccanico e sono appassionato di scienza, storia e cose così” cercò di spiegare Aiden.

“Non sei un fifone, vero? La missione potrebbe avere imprevisti”

“No signori!”

I due professori furono soddisfatti e strinsero la zampa ad Aiden: era entrato ufficialmente a far parte del loro gruppo. Nessun altro si unì a loro, ma in fondo era anche meglio così: il velivolo in dotazione all’associazione, il “The Cat Path” era un ottimo modello, molto avanzato (tanto innovativo da essere solo un prototipo in fase sperimentale, in effetti), con un grande serbatoio ma senza troppo spazio per i passeggeri. In questo modo, avrebbero avuto più posto per le provviste ed i materiali. 

Il percorso era già deciso, insieme agli scali da effettuare per i rifornimenti. Qualora il luogo lo avesse permesso, avrebbero passato la notte a terra, altrimenti avrebbero continuato a viaggiare, pilotando a turno.

Fu così che una mattinata gelida, al levar del sole, presero il volo alla volta dei dintorni di Parigi (Francia) e da lì avrebbero dovuto spostarsi in una città italiana della Sardegna, ma, per condizioni meteo più che avverse, dovettero resistere sino a Stromboli. Raggiunsero l’isola stremati e quasi senza carburante. L’approvvigionamento fu difficile e lungo, in quanto niente era stato preparato in precedenza da uno dei soliti contatti della società.

Da Stromboli passarono in Libia, prima a Tripoli e poi a Bengazi, ed infine raggiunsero Il Cairo (Egitto). 

Da lì, una volta ottenuti tutti i permessi necessari dalle autorità locali, fu facile recarsi a Giza e mettere insieme una squadra di supporto alle operazioni. 

Aiden, che non aveva mai partecipato ad una spedizione, sembrava contrariato: “Perché cercavate un aiutante, se tanto ne avete reclutati così tanti qui?”

“Perché loro sono del luogo, sanno come muoversi qui, mentre noi sappiamo cosa fare per il nostro obiettivo. Ci permetteranno di non avere più intoppi del dovuto”.

Aiden si zittì, vergognandosi un po’.

In breve, vicino all’aereo fu allestita una tenda, che sarebbe servita ai tre studiosi per lavorare e riposare.

Arthur Van cominciò a disegnare la piramide e a riempire un sacco di carte con viste da varie angolazioni e appunti.

“Caspita…” si stupì Aiden “Tutto questo per delle misurazioni” 

“Ovvio, ragazzo! E questa è la piramide più semplice da misurare, perché è facilmente approssimabile ad un solido regolare. Inoltre, sono stato qui in innumerevoli occasioni e te lo posso assicurare i costruttori sono stati molto precisi ed i lati, così come le varie facciate, possiedono dimensioni confrontabili. Raccoglieremo i dati dell’intera piramide per la scienza, ma per calcolarne il volume terremo conto di un singolo valore per la base e, quando avremo anche l’altezza, voilà! Volume calcolato!”

“Ma perché questi strani segni sul lato e sull’altezza?”

“Ragazzo… vuoi fare un buco e calarti dalla cima fino al fondo per avere l’altezza o preferisci che la scienza ti venga in aiuto?”

Aiden non capiva.

“Teorema di Pitagora, trigonometria, quello che preferisci. Io, personalmente, ti consiglierei il Teorema di Pitagora. Misureremo il lato della base e qualcuno andrà fino in cima per misurare questa zona…”

Arthur van mostrò ad Aiden un foglio in cui aveva disegnato la piramide in prospettiva e sottolineò con la zampa l’area di interesse (segnata in rosso nella nostra figura sotto).

“Immaginando di avere questo dato proprio a metà del lato di base, è come se avessimo l’ipotenusa ed il cateto minore di un triangolo rettangolo. Trovare l’altezza sarà facile, considerando che:

“Wow…”

“Chiudi la bocca, entra di tutto in questo deserto…”

Uscirono dalla tenda e tutti erano già pienamente all’opera. Lo stratagemma adottato per le misure fu quello di creare dei nodi in una corda ad una distanza predefinita di un metro. Chiaramente, non avevano a disposizione una corda “graduata” così lunga, per quello erano in tanti. 

Rocky, che coordinava i lavori e la squadra, si voltò non appena si accorse che erano dietro di lui: “Oh, eccovi! Direi che al più domani dovremo aver finito”
“E quanti tonnetti ci stanno?”

“Calma, ragazzo! Questo lo sveleremo solo al ritorno dalla missione. Dovremo pur avere qualche carta da giocare per farci venire a recuperare nel caso fossimo dispersi, venissimo rapiti dai locali…”

Aiden deglutì spaventato.

Il professor Arthur Van scagliò un’occhiataccia a Rocky.

“Voleva dire che… ecco, è meglio rivedere i calcoli a bocce ferme… per scongiurare inesattezze… e poi ci servono mezzi che al momento non abbiamo per definirlo”.

Nessun evento fuori dal comune rovinò quelle giornate in Egitto. Presto le misure furono raccolte e gli studiosi seppero che la piramide aveva un lato di 230 metri circa e altezza di 145 metri circa. 

Volume = considerando la piramide di Cheope approssimata ad un solido regolare, ovvero una piramide a base quadrata:

V =
(lato base x lato base) x altezza
3
= circa 2.556.833 m3

Aiden era emozionatissimo. Si recarono con dei cammelli nella città più vicina per le provviste e tornarono al tramonto, con le ultime luci del sole ad accarezzargli i baffi e la brezza fresca tipica delle notti del deserto a solleticargli il pelo. 

“Che panorama, eh?” chiese Rocky dalla sommità della duna, rivolto alle piramidi. 

“Da perderci la testa!”

“Pensa a che cosa si perdono i tuoi colleghi, smarriti tra la muffa dei libri nel castello” calcò la zampa Rocky.

“Sì… niente mi farà più rinunciare a tutto ciò!”

“Dice così perché è filato tutto liscio!” sussurrò Rocky all’orecchio di Artù.

Sorrisero entrambi sotto i baffi, memori delle tante vicissitudini trascorse insieme. 

Decollarono la mattina seguente, ripercorrendo due delle tappe precedenti, ovvero Bengazi e Tripoli. Fermarono ad Algeri e a Casablanca, che fu l’ultima città del continente. Atterrarono poi a Santa Cruz, nelle Canarie, dove fecero prendere un bello spavento ad Aiden perché vollero fargli credere che avrebbero sorvolato, senza scali, l’Oceano Atlantico fino al Messico.

“Credo, se posso permettermi, che non sia prudente, anzi credo sia proprio un’idea del tonnetto marcio!”

“Dai, non temere: è impossibile realizzare una traversata del genere!” lo rassicurò Arthur Van con una pacca sulla spalla “O almeno, magari un giorno lo sarà, ma non con il nostro apparecchio!”

Infatti, caricarono l’aereo su una nave per il trasporto delle merci, dove si imbarcarono tutti e tre alla volta di Veracruz, Messico: circa 8000 km in linea d’aria.

Fortunatamente, nessuno patì il mal di mare e poterono godersi il viaggio, sistemando le evidenze accumulate in Egitto.

“è necessario scrivere tutto?” domandò Aiden.

“Ovvio, altrimenti come faresti a ricordare?”

“Se aspettate che lo farò io…”

“Sì, lo dicevo anch’io” spiegò Arthur Van “poi mi ritrovai sperduto all’interno di un trabocchetto senza via d’uscita… dove eravamo, Rocky?”

“Sito Maya nei pressi di Tykal…”

“Ah, Guatemala, certo! Bè, dicevo: avevo  già visto una cosa simile e ne ero uscito con il mio mentore, ma niente appunti e puff! Perso per sempre, non fosse stato per Rocky che mi ha tirato fuori”

Aiden aveva il pelo ritto per la paura: “E dove lo trovo uno di questi…”

I due professori risero fragorosamente.

“Solo per annotare argomenti di interesse, tipo i ristoranti, le spiagge…”

“Ovvio, ovvio…” lo canzonò Rocky “vai nelle casse dei materiali, ce n’è uno verde che per noi è troppo piccolo. È tuo”

“Grazie!”

Aiden schizzò come un lampo e da quel giorno occupò il suo tempo riempiendo le pagine con ogni dettaglio si ricordasse della spedizione in Egitto.

Dopo giorni e giorni di viaggio, raggiunsero la costa messicana a Veracruz.

“Sarà una passeggiata da qui a Teotihuacan…” disse Rocky, mentre si grattava la pancia “Nemmeno 400 km e saremo a destinazione!”

“Sì, il tempo sembra stabile e buono. Traccia la rotta, che partiamo” lo appoggiò Arthur Van.

“Però prima un lauto pranzo, ce lo meritiamo dopo tutti questi chilometri!”

“Stranamente siamo d’accordo, Rocky!”

Aiden fu incaricato di trovare un ristorante adatto; lì, mentre attendevano il cibo, discussero ancora di alcuni particolari. 

“Sì, ci sarà sicuramente qualche locale pronto ad aiutarci. So per certo che nei pressi di Città del Messico esiste una associazione scientifica simile alla nostra. Saranno ben contenti di partecipare alla missione: farà comodo anche a loro conoscere le dimensioni della Piramide del Sole!”

“Ehi?”

“Sì, Aiden?”

“Quei due tizi laggiù mi sembrano loschi…”

“Ah, ma che vai inventando?”

“Ci fissano da quando siamo arrivati…”

Arthur Van provò a rassicurarlo: “è perché siamo stranieri, si vede subito. Saranno curiosi, tutto lì”

“Vi dico che non mi convincono… ecco, guardate: ne è arrivato un altro e stanno confabulando!”

“Di noi, scommetto?” domandò sarcastico Rocky.

Si voltarono, ma videro solamente due gattoni col caratteristico poncho messicano che mangiavano distrattamente. 

“Sì, seriamente Aiden: rilassati…”

Aiden continuò a tenerli d’occhio, ma ad un certo punto lasciarono il tavolo e non poté più seguirli. Quando Rocky decise che era pieno, Aiden sfrecciò verso l’aeroplano.

“Apparentemente, non manca niente…”

“Vedi? Tutto nella norma. Sali, che partiamo!” lo spronò Arthur Van.

Le condizioni meteo erano perfette: soleggiato, con un leggero venticello. Fino a che…

“Nuvole all’orizzonte!” dichiarò Rocky.

“Cosa dice il barometro, Aiden?” chiese Arthur van.

“La pressione si sta abbassando da quando abbiamo lasciato Veracruz”

“Che sarà mai qualche gocciolina di pioggia?”

“Smettila con quel tono da sbruffone, Rocky! Proprio tu che odi l’acqua!”

“Oh, Art, il solito guastafeste!”

“E basta con questo Art! è un nomignolo che detesto!”

“Ragazzi…”

Aiden fu ignorato.

“Ragazzi!”

“Aiden, mancano circa 150 km a destinazione, lasciaci divertire”

“No, non c’è proprio niente di comico qui! Ascoltate: il barometro è impazzito, l’altimetro pure e l’indicatore di carburante dice che stiamo per finire la riserva! Due secondi fa era tutto regolare!”

L’areo iniziava a perdere stabilità ed i motori a rallentare.

“Siamo stati sabotati!”

“Aiden!” lo sgridarono all’unisono.

“Dopo le teorie: dobbiamo salvare la pelle prima! Cerchiamo di mantenere stabile questa carretta e troviamo uno spiazzo per atterrare, fino a che siamo in tempo!”

“Perdiamo quota!” gridò Arthur Van.

“Non riesco a tenere i comandi!” urlò Rocky “In questo modo non eviteremo mai quella nube temporalesca!”

Il The Cat Path prese in pieno quella perturbazione, con una grandine mista a pioggia che colpì ed incrinò il vetro anteriore.

“Accidenti, non vedo più un tubo!” imprecò Arthur Van “Aiutatemi con la cloche, dobbiamo atterrare il più dolcemente possibile!”

“Ma non c’è visibilità e….”

Rocky non poté terminare la frase: un fulmine centrò l’ala destra e l’aeroplano si ribaltò su se stesso. I tre gatti riuscirono a malapena a tenersi saldi e ad indirizzare il velivolo in modo che stesse il più parallelo possibile al terreno. Toccarono il suolo saltellando, grazie alle ruote del carrello, il quale, tuttavia, non fu così robusto per evitare che la pancia strisciasse rovinosamente a terra. Si schiantarono contro un gruppo di alberi.

“Siete tutti interi?” chiese Arthur Van. 

“Più o meno…”

“Almeno gli alberi hanno fermato la corsa e niente è esploso o andato a fuoco…”

Aiden era sbigottito.

Uscirono per constatare i danni: non rilevarono effettivamente nessun incendio, questo perché il carburante era praticamente esaurito.

“I danni sono ingenti”

“Eh sì, Rocky: occorreranno giorni per aggiustarlo… ma la prima città è a… giusto, dove siamo?”

Furono spiazzati dalla domanda di cui nessuno conosceva la risposta. Concordarono di aspettare l’indomani per eseguire delle rilevazioni di posizione con il sole, dato che al momento il tempo era pessimo e le nuvole coprivano le stelle. Presero alcuni teli dall’aereo e si accamparono tra un gruppetto di alberi nelle vicinanze. Riuscirono persino ad accendere un fuoco per scaldarsi.

“Rocky, Artù: io credo che darò un’occhiata all’aereo”

“No, ragazzo: ora mangia qualcosa e riposati, è buio”

“Forse dovevamo fermarci un po’ prima…” intervenne Arthur Van, guardando il fuoco che scoppiettava davanti a lui.

“è successo tutto troppo in fretta. Il maltempo non è mai stato un problema, ma il guasto…”

Anche Rocky era sospettoso riguardo a quell’avaria così improvvisa e devastante. Con la scusa di andare a prendere altra acqua nel velivolo, sbirciò tra le componenti meccaniche del motore e del pannello di comando. Naturalmente, erano in uno stato disastroso.

“Ah, ci metteremo giorni per rimetterlo in sesto, se siamo fortunati. Altrimenti, anche settimane, accidenti!” esclamò, dando una zampata per richiudere il pannello.

“E questo cosa…?” si chiese, vedendo uscire un foglietto spiegazzato e bruciacchiato. Lo prese e lo aprì, facendo attenzione a non mandarlo in mille pezzi. 

Lasciate stare Teotihuacan, non è affar vostro

Questa era la prova lampante che Aiden aveva ragione: erano stati vittime di un sabotaggio.

Ma perché non avrebbero dovuto andare alla piramide, non erano certo dei ladri, solo scienziati.

“Siamo stati fraintesi…” rifletté Rocky “e ci è quasi costato la vita. Dobbiamo tenere gli occhi aperti, ma non posso dirlo agli altri. Meglio che siano tranquilli e attenti alle cose serie, non è sensato che comincino a sospettare di qualsiasi inezia dell’ambiente che ci circonda…”

Ripiegò il bigliettino e se lo nascose in tasca.

Tornò con l’acqua e si spaparanzò davanti al falò. 

“Non ci resta che farci una bella dormita, fino a domani… Aiden, come ti sembra la tua prima spedizione?”

“Ho solo una parola: travolgente! Ecco, per me che sono solo un umile gatto di paese…”

“Oh, ma non c’entra niente da dove vieni. Te l’ho già detto!” si intromise Rocky “ Nessuno di noi due è nobile di nascita, ma puoi star certo ragazzo, ci scommetto la coda, siamo nobili d’animo.  E questo vale molto di più di mille titoli. Spog Iarran, il fondatore della nostra società, era un gatto delle foreste”

Aiden restò dubbioso.

“Domande?”

“No, è che mi sono sempre chiesto: come fa un gatto a chiamarsi Zampa d’acciaio… insomma, è nato e gli hanno detto: tu sarai forte e avrai questo nome? Che ne sapevano?”

Artù ridacchiò: “Infatti, vedi? Sei perspicace. Ottima qualità. In realtà, si chiamava Alisander…”

“Oh, ecco perché lo conosciamo come Zampa d’acciaio. Alisander non è tanto epico…”

Rocky si infilò a zampa tesa nel discorso: “Frena, frena, frena! Cosa c’entra il nome con il valore? Quindi io dovrei essere meno forte perché mi chiamo Orangie Dorito Rockwood?”
Arthur Van buttò gli occhi al cielo, sconsolato.

“Ecco che ci risiamo…”

“no, no, no, devo spiegare! Rocky è il mio soprannome ed è da gatto fiero, ma vado ugualmente orgoglioso del mio vero nome”

Aiden sghignazzava: “Dorito… come le….”

“E non offendere Dorito! Mia nonna si chiamava Dora e, siccome era una micetta di dimensioni più che ridotte,  tutti la chiamavano Piccola Dora, che in spagnolo diventa Dorita. Io le somigliavo così tanto da piccolo, che mia madre volle darmi il suo nome, però essendo maschio è diventato Dorito, capito?”

Prima che il discorso degenerasse, Arthur Van invitò tutti ad andare a dormire. Rocky propose di fare dei turni di guardia; in fondo, erano in un territorio sconosciuto.

Il sole sorse e mostrò tutta la bellezza di una regione incontaminata, che appariva anche lontana dai centri abitati. 

“D’accordo, facciamo le nostre rilevazioni e scopriamo dove siamo” propose Aiden. 

“Ma che dici? Dobbiamo aspettare… adesso vai a cercare qualcosa nell’aereo che sia perfettamente diritto e si possa piantare a terra. E porta anche sestante, bussola, goniometro, carta per scrivere ed il cronografo tarato sull’orario di Greenwich. Ah, e anche il manuale astronomico”

“Agli ordini, Prof Van!”

Attesero pazientemente che l’ombra proiettata dall’asta raggiungesse la lunghezza minima e fosse allineata a sud.

“Ecco il mezzogiorno locale: dimmi l’ora di Greenwich Artù!”

“Le 18.38 e 03 credo..”

“Ottimo, scrivi Aiden. Servirà per la longitudine!”

“Alla latitudine penso io, Rocky”

Arthur Van misurò rapidamente l’altezza dell’asta e la lunghezza della sua ombra proiettata a terra. Grazie all’arcotangente del rapporto di queste due grandezze e alla conversione dei decimali dei gradi ottenuti, ottenne un’inclinazione del sole di circa 48° 0’ 46.04”.

Poiché il manuale astronomico riportava l’inclinazione del sole a Greenwich dalle 18 e alle 19, dovettero interpolare per avere il valore alle 18:38:03, orario di Greenwich a cui corrispondeva il loro mezzogiorno locale. Sottraendo a 90° questi due valori, ottenne una latitudine di circa 19° 0’ 55.36”.

Per la longitudine, tennero conto dell’orario in cui, in quel preciso giorno dell’anno, il sole avrebbe dovuto essere nel punto più alto a Greenwich: dal manuale astronomico, poterono constatare che esso corrispondeva alle 12:03:32.

Tale orario fu sottratto a quello di Greeenwich correlato al loro mezzogiorno locale ed ottennero 6:34:31. Riportando il tutto alle ore e moltiplicando per 15 per ottenere i gradi (15 sono i gradi di rotazione percorsi dalla terra ogni ora), avendo cura di convertire la frazione decimale del risultato in minuti e secondi, ricavarono una longitudine di circa 98° 37’ 45”.

“Considerando qualche errore di rilevazione, le coordinate ci dicono che siamo qui…” disse Arthur van, indicando un punto della mappa che avevano steso su una cassa di legno che fungeva da tavolino.

“A Popocatepetl, a circa 110 km sud dalla nostra destinazione!”

“Ma come diamine abbiamo fatto a deviare così tanto?” si chiese Aiden stupito.

Rocky, sapendo benissimo che avrebbero tirato fuori la storia del sabotaggio, cercò di sminuire la cosa: “è ovvio che se tutti i sensori erano danneggiati è probabile che anche la strumentazione di bordo  relativa alla direzione desse indicazioni irrealistiche”

Si divisero i compiti.

“Aiden, ripara l’aereo e cerca la città più vicina se ti servissero ricambi che non sono a bordo. Io ad Artù cominceremo ad avviarci alla piramide. Porteremo con noi qualche provvista e l’equipaggiamento base. Raggiungici quando avrai riparato l’aereo. Noi, se va tutto liscio, dovremmo arrivare in circa 3 giornate di cammino”

Purtroppo, niente andò come previsto.

Un fruscio tra le piante e Rocky si sentì catturare da dietro. Era immobilizzato, bendato: “Artù, scappa!”

“No, devo aiutarti!”

“Pensa a Aiden!”

E in un secondo anche il Professor Arthur Van si trovò nelle stesse condizioni di Rocky.

Li fecero salire su un mezzo e li portarono chissà dove, verso il cuore della foresta. 

“Che volete da noi? Chi siete?”

“Dato che un avvertimento non vi è bastato, siamo stati costretti a farvelo capire così. Lasciate in pace la piramide di Teotihuacan, spregevoli predoni!”

“Oh, calmi con le parole! Noi siamo scienziati”

“Dicono tutti così”

“Vogliamo solo fare delle rilevazioni!”

I rapitori non ebbero il tempo di controbattere, perché il rombo dei motori del The Cat Path li distrasse.

Aiden pilotava, mentre un altro gatto stava sull’ala a calare una corda.

“Aiden, scendi ancora un po’!”

“è il massimo che posso fare!”

Il gatto si ingegnò e si legò alla corda che aveva fissato al portellone. Avanzò sull’ala e riuscì a calare la cima.

“Miseriaccia, siamo fregati! Presto, ritirata!” ed i malfattori se la diedero a gambe, abbandonando i due studiosi sul veicolo a ruota libera.

“Vi sto calando una corda!” urlò loro il misterioso gatto “So che non vedete, ma cercate di liberare le zampe ed afferratela!”

I due non riuscirono, ma almeno si tolsero il cappuccio. Giusto in tempo  per constatare che si sarebbero schiantati da un momento all’altro. 

“Dobbiamo saltare!”

“D’accordo Rocky… Uno, due e treeeeee!”

Rotolarono ai lati della strada sterrata.

“Sei tutto intero?”

Un’esplosione.

“Io sì, quell’auto un po’ meno… Ahi!”

Nel frattempo, Aiden era atterrato in sicurezza. Lo ringraziarono per l’aiuto provvidenziale.

“Senza di te, di voi, non so come sarebbe finita. Non volevano che andassimo alla piramide: sono gli stessi che hanno manomesso l’aereo…” ammise Rocky.

“Grazie” fece eco Arthur Van.

Il gatto nuovo si fece avanti: “è merito di Aiden, non mio. Ha voluto venire a cercarvi, ma ha notato un movimento sospetto nella foresta ed il resto è storia. Vedo le vostre espressioni perplesse, mi presento: sono Andrès Alejandro Cortèz Vega e sono un esploratore. Cerco un raro insetto, nella fattispecie un insetto della famiglia di quegli insetti a forma di foglia. Praticamente questi luoghi sono la mia casa”
“Ah, colleghi, allora!” esclamò Arthur Van ”è un piacere!”

Ho chiesto un passaggio al vostro amico, ma credo mi fermerò qui: l’ambiente sembra promettente… arrivederci!”

Dopo i saluti, Rocky tirò un sospiro di sollievo.

“Contento di essere libero?” chiese Aiden.

“Sì, ma ancora di più di riavere l’aereo, la passeggiata si stava facendo troppo lunga!”

Una volta a Teotihuacan, radunarono una squadra di aiutanti, come a Giza.

Aiden non poté trattenere l’incredulità: “ma come faremo con questa? È una pila di mezze piramidi…”

Eh, eh… te lo avevo anticipato a Giza… comunque, prenderemo tutte le misure di ogni livello, passami il termine, e ne calcoleremo il volume come fossero dei tronchi di piramide a basa rettangolare. Penso che per quella strana struttura che c’è in cima… potremmo approssimare ad un tronco di piramide a base rettangolare con area della faccia superiore pari a zero, che poi equivale ad assimilarlo ad una piramide intera…”

Per l’altezza di ogni livello, utilizzarono una formula abbastanza complessa, che Arthur Van non passò ad Aiden per dimenticanza.

Dopo giorni, ebbero i tanto agognati dati che Aiden riassunse così nel suo quadernetto.

Volume tronco piramide:

V =
1
3
(Areabase + Areacima+
Areabase x Areacima
) x altezza

“Ecco, il volume totale è di circa 1.345.450, 618 m3”. 

“Pertanto, se non ricordo male, è inferiore a quello della piramide di Cheope…” ribadì Rocky.

“Allora ha ragione Monsieur du Poisson!”

“Sì, dobbiamo calcolare quante scatole di tonnetti ci stanno e saremo a posto!”

“Se te lo stai chiedendo, Aiden, non possiamo semplicemente calcolarne il volume e dividerlo a quello delle piramidi. Nella realtà, le scatolette hanno un ingombro fisico e la loro forma cilindrica farà sì che ci saranno spazi vuoti nell’ipotetica piramide riempita di tonnetti”

Arthur Van cercò di spiegarlo nella maniera più semplice possibile, ma Aiden seguitava ad essere perplesso.

“Certamente, è un calcolo sopra le nostre possibilità. Lungo la strada del ritorno ci fermeremo a Londra” puntualizzò Arthur Van “Là abita un nostro amico ingegnere che ha inventato un sistema molto avanzato che permette di eseguire calcoli su figure tridimensionali. I tempi di attesa sono abbastanza lunghi, però i risultati hanno un buon grado di attendibilità”

Il viaggio di ritorno trascorse senza problemi e per lo più in nave. Si fermarono due settimane a Londra. 

Quando finalmente ricomparvero al castello della Royal Clowder Society era primavera. Fu indetta una riunione ufficiale, durante la quale consegnarono il rapporto dettagliato della spedizione ed illustrarono i loro risultati. Tutti attendevano trepidanti la risposta ed i due contendenti, Sir Geordie e Monsieur Sable, erano così tesi che se avessero fatto un salto in quel momento avrebbero sfiorato la luna.

Ad Arthur Van l’onore di svelare le carte: “E dunque, con il suo volume di circa    2.556.833   m3  la piramide di Cheope a Giza, Egitto, è la più grande, seguita dalla piramide del Sole a Teotihuacan, Messico, con i suoi 1.345.450, 618 m3. Elaborati calcoli, con i quali non vi tedierò, portati a compimento dall’esimio Ingegnere Julius Percival Fitzwilliams, hanno rivelato che il numero di tonnetti che può contenere la Piramide del Sole è nettamente inferiore a quello della Piramide di Cheope:    

n° Sole 22,206,437,000    vs   n° Cheope 47,342,046,000

“Urràààààà! Ho vinto!” saltò sulla sedia Monsieur du Poisson.

Sir Geordie masticava palesemente amaro.

“Sì, per ora…”

“Mi spiace interrompere questo momento… ma si parlava di una ricompensa”

“Che intendi, Rocky? Io ho perso e non intendo darti niente, rivolgiti allo spaccone qui di fianco…”

Sir Geordie lasciò la stanza stizzito.

“Dunque, Sable?”

“Che vuoi?”

“Tonnetti… non siamo stati via mesi per nulla!”

“Ma dove vuoi che li trovi tutti quei tonnetti?!? Non esistono nemmeno al mondo in cento anni!”

“Bè, sì, era comunque un’ipotesi di partenza un po’ farlocca…” lo aiutò Arthur Van “però, almeno qualche tonnetto extra…”

La stanza si svuotò all’istante e pure Sable se ne andò con una scusa.

“Bene, finisce come sempre…” sbuffò Rocky.

“Ti aspettavi forse un finale diverso?” se la rise Artù.

“No, amico, per niente!”

Questa avventura è finita, ma vi aspettiamo per raccontarvi altre strabilianti peripezie del Professor Arthur Van e dei suoi amici.

Alla prossima!

Attenzione:

Le storie ed i personaggi raccontati sono frutto della creatività del Team di AstroArtù.studio, ogni riferimento a fatti realmente accaduti o a persone realmente esistenti/esistite è puramente casuale. Copyright (C) astroartu.studio.